Ascoltando distrattamente commenti e interviste del post gara 6, mentre completavo i miei appunti sullo sbalorditivo finale che aveva appena consegnato la Stanley Cup ai Chicago Blackhawks, una cosa mi saltava all’occhio (anzi, all’orecchio): la fatica pazzesca con cui opinionisti e inviati sul campo stavano pescando nel mazzo delle banalità pseudo-decoubertiniane per consolare le facce stravolte, fin quasi alle lacrime, dei giocatori di Boston. Dalla “dura legge dello sport” si passava a “uno dei due deve pur vincere”, mentre il collega rilanciava con “l’orgoglio di essere stati alla pari”, fino all’immancabile “ce l’avete messa tutta”.
Il problema, sia chiaro, non era nella qualità dei commentatori, ma nell’atrocità della beffa che si era appena consumata sul ghiaccio di Boston. I Bruins, sotto 2-3 nella serie dopo aver perso maluccio gara 5 a Chicago, erano scesi sul loro campo per gara 6 sputando fuoco e fiamme. Con un primo periodo giocato in modo perfetto, imperioso, strabordante, avevano ridotto gli Hawk a catenacciari sparring partner (33 occasioni da rete contro 9…), portandosi in vantaggio 1-0. Nel secondo i Bruins erano stati costretti ad abbassare il ritmo, umanamente, e avevano pagato carissima l’unica vera sciocchezza fin lì commessa, facendo segnare a Toews il gol del pareggio addirittura in inferiorità numerica. Ma a metà del terzo Lucic, con il gol del 2-1, aveva rimesso a posto le cose, spezzando un pareggio che fin lì gli Hawks non avevano fatto quasi nulla per meritare. E così siamo arrivati a quei fatidici 76 secondi dalla fine; Boston, a 1′ e 16″ dalla sirena che avrebbe rimandato tutto a gara 7, prendeva da Bickell il gol del pareggio e, dopo altri 20 secondi, incassava anche il 3-2 (riflesso pazzesco di Bolland sul disco sparato sul palo da un tiro di Oduya). A quel punto mancavano 58″ alla fine, troppo pochi non solo per pareggiare ma anche solo per riprendersi da una mazzata simile. Sirena finale e, nel silenzio irreale dei tifosi di Boston, Chicago campione NHL 2013.
Dopo una beffa così atroce, in effetti, era normale che anche il più salace tra i commentatori fosse colto da umana compassione nell’intervistare i Bruins. Capitan Chara, una colonna di 206 cm, con le lacrime agli occhi; Jagr, 41 anni, che non la smetteva di scuotere la testa; Marchand sfinito con la schiena alla balaustra. Li ho capiti, i commentatori, e anch’io, al posto loro, avrei fatto incetta di banalità. Cos’altro puoi dire a un campione con la sconfitta dipinta sul volto? E loro, gli intervistati, rispondevano con cortesi monosillabi e complimenti di circostanza agli avversari, ansiosi di sparire mille miglia lontano da quella partita maledetta, da quei maledetti 76 secondi. A pensarci bene, tra le ovvietà non mi è sembrato di sentire “in fondo è solo un gioco”, ma quello sarebbe stato davvero troppo, e una bastonata in risposta sarebbe stata forse anche lecita. Il titolo è andato ai più forti fin dalla regular season, ma se lo sport fosse meno carognesco almeno una bella gara 7 questi Bruins se la sarebbero proprio meritata.
Senza Sport One non avrei mai conosciuto queste storie memorabili. Complimenti!
..un’altra stagione NHL ci saluta.. bella, nonostante le difficoltà iniziali.. la sorpresa di un finale improbabile, ma non impossibile, in fondo, ce la siamo meritata.. ringrazio SportOne per gli aggiornamenti costanti! nell’attesa del prossimo ghiaccio.. cosa ci racconterai quest’estate?
Sport One è lusingato di essere seguito con questa attenzione. Ancora un altro paio di “chicche” sul ghiaccio e poi ci tuffiamo nella stagione della Major League!