Partiamo dalla fine: la Stanley Cup 2018 se la giocheranno Washington Capitals e Vegas Golden Knights, con inizio lunedì nel Nevada. Finale ovviamente inedita, non tanto perché Washington ne ha giocata solo una, finora, nella sua storia (persa malamente contro Detroit nel ’98), ma soprattutto perché Vegas è alla sua stagione d’esordio, franchigia giovanissima che meglio di così non poteva iniziare. Ma per presentare i temi della finalissima ci sarà tempo e modo; ora ci sono da raccontare due finali di Conference, quella ad Est in particolare, che hanno regalato molte emozioni pur senza mai giungere ai supplementari.
WESTERN CONFERENCE
VEGAS GOLDEN KNIGHTS – WINNIPEG JETS 4-1 (2-4, 3-1, 4-2, 3-2, 2-1)
Dopo aver vinto gara 1 in casa, quasi in scioltezza, i Jets si sono scontrati contro un muro chiamato Marc Andre Fleury, che ha mostrato tutta la classe dei suoi momenti migliori nei momenti chiave delle seguenti quattro partite, non a caso tutte vinte da Vegas. Un filotto impressionante, quello degli Knights, non straripante ma di eccezionale concretezza, con la difesa imperniata intorno al loro straordinario portiere e un attacco veloce e di altissimo livello tecnico in un paio di individualità come Marchessault e Neal. Il momento cruciale, a nostro parere, è stato il terzo periodo di gara 3, con la serie ancora sull’1-1 e Vegas avanti 3-1 che, dopo 18″, subisce da Scheifele la rete del 3-2. In quel momento i Jets si sono buttati avanti a caccia del pareggio con tutto il loro (notevolissimo) potenziale offensivo, ma Fleury ha sfoderato almeno quattro interventi miracolosi e l’attacco, pur soffocato, ha colto prima una traversa con Karlsson e poi chiuso i giochi in empty net. Non che le gare 4 e 5 siano state delle passeggiate, ma vista da fuori si è avuta l’impressione che lì Vegas abbia messo le mani sulle Finals.
EASTERN CONFERENCE
WASHINGTON CAPITALS – TAMPA BAY LIGHTNING 4-3 (4-2, 6-2, 2-4, 2-4, 2-3, 3-0, 4-0)
Dopo gara 5 ammetto di aver provato due sensazioni: disappunto per aver sbagliato il pronostico sulla serie lunga, dispiacere nel ritrovare ancora una volta i Capitals inconcludenti nei momenti che contano pur con un roster di altissimo livello. Non sono un loro tifoso, ma vedere Ovechkin al tramonto senza aver giocato nemmeno una volta le Finals mi provocava un senso d’ingiustizia nel cuore. I Capitals avevano vinto le prime due partite, dominando a Tampa, per poi perderne tre di fila; in gara 3 e 4 meritatamente sconfitti, ma nella quinta partita oggettivamente molto sfortunati. Presi due gol nel primo periodo, incassavano il 3-0 da Callahan dopo soli 18″ del secondo tempo, ma lì, anziché sciogliersi come ai vecchi tempi, i Capitals cambiavano marcia, segnando le due reti della speranza con Kuznetsov e Ovechkin, coglievano due pali clamorosi e costringevano Vasilevsky agli straordinari, l’ultimo dei quali un autentico miracolo a 10″ dalla sirena finale. Gli overtime sarebbero stati strameritati, ma Tampa aveva invece portato a casa il 3-2 nella serie, con in più la prospettiva, anche in caso di sconfitta in gara 6, di giocarsi la bella in casa.
E invece, quella marcia altissima i ragazzi di Barry Trotz non l’hanno più tolta, e la rete di Callahan di cui sopra è stata incredibilmente l’ultima dei Lightning nella serie, a secco nei successivi 139 minuti di hockey giocati!! Un parziale di 9-0 dal secondo periodo di gara 5 fino a tutta gara 7, stravinta a Tampa Bay grazie al gol provvidenziale di Ovechkin dopo 52″, alla sorprendente doppietta di Burakovski e a una superiorità fisica che ha consentito alla difesa di reggere anche nei momenti di tempesta, quando i Lightning hanno messo sul ghiaccio tutto quello che gli restava ancora nelle batterie. L’eliminazione ha portato grandissima amarezza nello spogliatoio di Jon Cooper, inutile dirlo: con diversi giocatori maturi, il roster dei Lightning era stato costruito apposta per vincere ora. Ma i Capitals hanno dimostrato di avere più energie in corpo e sul piano del confronto fisico (dentro e fuori dalle regole) hanno surclassato la franchigia della Florida. Ora per loro si schiudono le tanto agognate porte delle Finals, per coronare con la coppa anni di “belli e inconcludenti” e per regalare al loro capitano un pezzo di storia che avrebbe meritato già da tempo.