Straripanti, bellissimi Penguins, figli di un piccolo miracolo sportivo, in sei mesi scarsi passati da squadra in crisi d’identità a inarrestabile macchina da hockey ora a un solo passo dalla Stanley Cup. La serie contro gli Sharks è infatti sul 3-1 e già giovedì notte, davanti al loro pubblico nel Consol Energy Center, i Pittsburgh Penguins potrebbero chiudere i giochi a loro favore, riconquistando la coppa che manca loro dal 2009.
Ci eravamo lasciati con il successo dei Penguins 3-2 in gara 1, poi la serie è proseguita con il meritatissimo raddoppio in gara 2, giunto dopo due minuti e mezzo di overtime grazie alla conclusione vincente di Conor Sheary, un altro rookie sugli scudi dopo Rust e Murray, imbeccato in modo fantastico da Crosby dopo un ingaggio vinto nel terzo difensivo di San Jose. Proprio questa giocata, e l’elevatissima percentuale di faceoff vinti dal capitano dei Penguins, ha dato il via ad alcuni giorni di velate polemiche, scatenate da alcune frasi di Couture che accusava Crosby di barare negli ingaggi.
Alla fine tutto si è smorzato davanti al muro di “no comment” alzato da Pittsburgh di fronte ai media, ma la tensione si è scaricata sul ghiaccio di gara 3, la prima giocata in California e di gran lunga la più violenta vista finora. Ancora un overtime, ma stavolta sono gli Sharks a uscirne vincitori dopo 12’18”, grazie a una saetta ravvicinata scoccata da un altro rookie, il finlandese Joonas Donskoi, uno dei più attivi nella serie tra gli attaccanti di Sharks, divenuti improvvisamente asfittici. La partita era iniziata con il solito monologo dei Penguins, passati in vantaggio con Lovejoy, autore di un tiro non irresistibile su cui Martin Jones non è esente da responsabilità. San Jose, spinta dai suoi tifosi, ha il merito di scuotersi subito, cogliendo l’1-1 con Braun. Allo scadere del secondo periodo, con soli 43″ ancora da giocare, Hornqvist riporta però avanti i Penguins, che si fanno però riagguantare a metà del terzo tempo a causa di Nick Bonino, che colpisce Thornton con un high-sticking punito con 4′ di penalità dagli arbitri. Pittsburgh resiste abbastanza bene, ma capitola proprio allo scadere davanti al tocco ravvicinato di Joel Ward. Nel supplementare è Pittsburgh a farsi preferire, mentre San Jose, in flessione fisica, inizia a concedere troppo campo agli avversari. Tutti sono consapevoli che il 3-0 metterebbe la pietra tombale sulle ambizioni degli Sharks, e allora ci pensa Donskoi a riaccendere il ghiaccio, scatenando la festa dei tifosi californiani.
La notte di domenica si disputa gara 4, sempre a San Jose e sempre con lo stesso copione al via: Pittsburgh parte fortissimo, segnando per prima per la quarta volta in quattro gare. È il difensore Ian Cole a ribadire comodamente in rete un disco ribattuto da Jones dopo una conclusione pericolosa di Ian Kessel. Stavolta però gli Sharks sono storditi, e i Penguins continuano a entrare da tutte le parti nella loro difesa; Jones fa miracoli, ma è costretto ad arrendersi ancora dopo due minuti e mezzo del secondo periodo, con un gol in power play (interferenza molto dubbia chiamata dagli arbitri a carico di San Jose) di Evgeny Malkin. Pittsburgh imperversa ancora per qualche minuto, sfiorando a più riprese il 3-0, poi si quieta e gli Sharks rientrano in partita con orgoglio. Karlsson accorcia le distanze a 8′ dalla sirena finale, poi Murray deve superarsi in almeno un paio di occasioni, su Marleau, lanciato da solo a rete, e su un tiro al volo di Pavelski. A due minuti dalla fine, con San Jose completamente sbilanciata in avanti, ci pensa Eric Fehr a chiudere i giochi, regalando ai suoi il match ball di giovedì.
I numeri sembrano non regalarci grandi chance di avere una serie lunga in questa finale: San Jose non ha mai condotto nel punteggio in questa serie, ad eccezione della rete in overtime di Donskoi in gara 3. Pittsburgh non insegue da oltre 435′, addirittura per trovare i Penguins in svantaggio bisogna tornare a gara 5 delle Conference Finals contro Tampa Bay. Dal suo ritorno da titolare dopo la parentesi Fleury, Matt Murray ha vinto 5 partite di fila, con una media di 1.76 di reti subite a partita e .935 di tiri parati. Gli Sharks devono però aggrapparsi al loro orgoglio, da subito, senza aspettare di dover inseguire, e sperare che i suoi tiratori si sblocchino. Non c’è altro da dire: il loro tempo sta per scadere.