Davanti alle cifre astronomiche di alcuni contratti sportivi, un mio ex collega era solito sospirare: “C’è poco da fa’, alla fine vale sempre l’articolo quinto: chi c’ha i soldi ha vinto”. Constatazione amara e populista finché si vuole, ma terribilmente vera, specialmente in questa offseason della MLB, che sta scorrendo veloce verso gli spring training a suon di contratti da record e budget degni di un piccolo Stato, altro che di una squadra di baseball.
Come avrete intuito dall’immagine, a farla da padroni in questa gara a chi ha il portafogli più gonfio sono stati i New York Yankees, rimasti fuori dagli scorsi playoff per la seconda volta in 19 anni. Un record negativo talmente risibile da risultare insignificante per qualunque altra squadra al mondo, di qualunque altro sport e Paese, ma non per i Bronx Bombers, che dall’alto dei loro 27 titoli di MLB insorgono per lesa maestà dopo ogni (rara) stagione storta. Chi scrive è un loro tifoso, beninteso, uno che si è commosso dentro il loro museo, uno che crede davvero che essere uno Yankee sia “a timeless legacy”, come ricorda lo slogan che troneggia su tutta la loro comunicazione.
Ma stavolta non sto dalla loro parte; questo mercato che volge alla conclusione li ha visti protagonisti dall’inizio alla fine, sì, ma nel ruolo smargiasso e un po’ cafone del J.R. di “Dallas”, che arrivava con i soldi nel cappello a comprare tutto, anche l’inutile, pur di riaffermare continuamente la supremazia dei propri zeri sul conto corrente. I Bronx Bombers caddero in questo atteggiamento anche dopo l’altra stagione senza playoff, spendendo nella offseason 2008 qualcosa come 441 milioni di dollari per prendere, tra gli altri, Sabathia, Teixeira e Burnett. Ora, con il mercato ancora da chiudere e la squadra ancora incompleta in diversi ruoli chiave, sono già a quota 471 milioni di dollari. Nel 2008 cotanto budget portò al titolo la stagione seguente, ma nel 2014 non credo che la storia di ripeterà.
Che gli Yankees fossero una squadra da rifondare era chiaro a tutti, e da ben più di un anno. Schiavi della propria storia e di una sorta di paralizzante voglia di deja vù che nello sport raramente funziona, hanno finito per ritrovarsi una squadra degna di un gerontocomio ingabbiata da contratti lunghissimi e stipendi stellari. Qualcuno, nella stanza dei bottoni di New York, deve aver dimenticato che l’ossatura degli Yankees dominatori della fine degli anni Novanta (4 titoli dal ’96 al 2000) era costituita da giocatori cresciuti con quella maglia addosso (Jeter, Petitte, Posada, Rivera, Williams), cui venivano affiancati campioni già affermatisi altrove.
Oggi, per riportare in alto la squadra sgangherata dello scorso anno, si era partiti col piede giusto, non assecondando (forse perché ancora scottati dall’affare Rodriguez) le richieste folli di Robinson Cano (10 anni per 300 milioni), il quale, buon per lui, ha trovato il Klondike in quel di Seattle. La campagna acquisti di New York è quindi proseguita con un altro buon passo, quello fatto liberandosi di Curtis Granderson (bel giocatore, ma 200 k subiti in un anno sono davvero troppi…) e prendendo Ellsbury da Boston come esterno centro. Qui, però, ci fermiamo: McCann dietro casa base è stato pagato troppo (17 milioni all’anno per 5 anni a un giocatore che ne ha già 30), e peggio ancora con il fu-grandissimo Beltran (contratto di 3 anni per 45 milioni a un giocatore di 36 anni!). Ci sono poi quelli che io chiamo i “rinnovi del cuore”: passi quello di Jeter, riccamente ricompensato con 12 milioni per fargli concludere la carriera a N.Y., ma nei 16 milioni per Kuroda (39 anni) non riesco davvero a trovare un senso. Lo scorso anno il giapponese è stato uno dei pochi a salvarsi durante l’affondamento, ma una scommessa così rischiosa non può essere ripetuta, specie a quelle cifre.
Infine, ecco il botto finale: pochi giorni dopo il faraonico rinnovo di Kershaw con i Dodgers (7 anni per 215 milioni, il più ricco di tutti i tempi) ecco che gli Yankees portano negli USA Masahiro Tanaka (stessa durata ma a “soli” 155 milioni). Il 25enne partente nipponico ha fatto segnare numeri da capogiro lo scorso anno, portando al primo titolo della loro storia i Rakuten Golden Eagles, con un record pazzesco di 24 vinte e zero perse e un ERA di solo 1,27. Resta l’incognita di vedere all’opera un lanciatore esordiente nella Major League, ma certo questo è l’acquisto dell’anno. E allora cosa manca a questi Yankees per tornare al titolo? Innanzitutto il bullpen, che ad oggi appare davvero sguarnito, e non solo nel ruolo del successore di Rivera come closer. C’è poi una sovrabbondanza di esterni a fronte di una carenza di interni, specialmente in terza base (che Rodriguez esca dal processo per doping senza più la squalifica di 211 partite appare un’ipotesi remota, e comunque ha 38 anni) e in seconda base, dove di fatto un erede di Cano ancora non c’è. Sulla prima base, infine, incombe l’ombra degli infortuni di Teixeira, ormai 34enne, che lo scorso anno ha giocato solo 15 partite. Andando di questo passo, a quanto ammonterà lo “scontrino” finale per gli Yankees?