Scattano stanotte ad Arlington le World Series 2023, tra Arizona Diamondbacks e Texas Rangers. Analizziamo i temi principali di questa sfida totalmente imprevedibile alla vigilia della post season, tra due squadre entrate ai playoff come teste di serie numero 5 e 6 che si sono però fatte meritatamente strada fino alla finale.

Stavolta non potrà esserci davvero nessuno, neppure di là dell’oceano, che potrai dire “l’avevo detto”, perché questa è davvero la finale più impensabile che si potesse immaginare. Ma la solita regular season infinita, la stanchezza, gli infortuni e il mercato di riparazione a metà stagione hanno via via rimescolato le carte, producendo crolli verticali (Dodgers e Orioles), lenti ma inesorabili (Braves) oppure sorprendenti e contro pronostico (Astros e Phillies a gara 7 delle finali di conference), regalandoci alfine delle World Series che magari non richiameranno folle oceaniche davanti alle tv americane, ma che certo incuriosiscono non poco gli appassionati. Non è la prima volta che due wild card arrivano a giocarsi il titolo, era già accaduto nel 2002 e nel 2014, ma mai era successo che le due finaliste avessero vinto “solo” 174 partite complessive in regular season e mai che le due squadre, solo due anni fa, avessero entrambe superato quota 100 sconfitte l’una. I precedenti stagionali, per quel che valgono, dicono 3-1 per i D’Backs, ma il vantaggio del campo sarà dei Rangers, che quindi giocheranno al Globe Life Field i match 1 e 2, e gli eventuali 6 e 7, mentre le partite centrali si terranno dal 30 ottobre all’1 novembre al Chase Field di Phoenix. Ma andiamo a scoprire nel dettaglio i temi principali della sfida che inizierà stanotte.
ALTI E BASSI
Nel corso della stagione i Rangers hanno avuto problemi soprattutto dal mound, per infortuni (deGrom ed Eovaldi) e cali di rendimento del bullpen. In quel momento sono stati bravi a credere nelle potenzialità della squadra, mettendo mano al portafogli per far arrivare Chapman, Stratton, Montgomery e Scherzer nel mercato di riparazione. Alcuni acquisti stanno ripagando (su tutti Montgomery), altri decisamente meno (Champman e Scherzer), ma il segnale alla squadra è stato forte.
I D’Backs hanno avuto meno infortuni ma degli alti e bassi di rendimento che ne hanno quasi precluso l’arrivo ai playoff. Il loro picco positivo è stato a metà giugno, quando guidavano la NL West con 41-25, ma da luglio a metà agosto hanno avuto un crollo verticale, con 7 vittorie a fronte di 25 sconfitte, che hanno portato in negativo il loro record. Con un ottimo sprint finale hanno agguantato la post season, in cui hanno decisamente cambiato marcia.
IL DUELLO TRA BULLPEN
Quello di Arizona ha numeri decisamente migliori, seppure non eccezionali, e l’arrivo da Seattle di Sewald, dopo difficoltà iniziali, sembra aver coperto la posizione del closer. La percentuale di salvezze
concretizzate è del 62%, nella media, ma nei playoff alcuni rilievi lunghi, Ginkel e Thompson, sembrano essere esplosi, con il solo Saalfrank ancora un po’ sottotono. La stagione del bullpen dei Rangers è stata invece un calvario, con solo il 48% di salvezze concretizzate, con un record poco lusinghiero di 33 salvezze mancate a fronte di 30 realizzate, mai accaduto prima per una squadra ai playoff. Ma Bochy e il suo staff sembrano essere riusciti nel miracolo: ad ottobre le salvezze sono state 3 su 3, incredibile.
MIX DI GIOVANI E VETERANI
Forse sta proprio qui il grande segreto delle due finaliste: il giusto bilanciamento dei gruppi, con giovani di belle speranze e veterani di mille battaglie. I Rangers ha la colonna Seager, il bombardiere esperto (ma non di playoff) Garcia, e due splendidi giovani come Evan Carter e Josh Jung. Idem per Arizona, con Longoria, Pham e Marte a tirare le fila del gruppo, e Carroll, Moreno e Thomas a seguirli con qualità non comuni. Gabby Moreno, in particolare, gioca con la tranquillità di un veterano, sia dietro casa base che nel box. Ed è interessante notare come i D’Backs siano la seconda miglior squadra della MLB nelle basi rubate (dietro Cincinnati), tra cui spiccano le 56 di Carroll.
I PARTENTI N. 3
Brandon Pfaadt e Jordan Montgomery, due nomi non da copertina e che certamente non fanno staccare biglietti e abbonamenti alla tv via cavo. Ma senza di loro né Arizona né Texas sarebbero qui, questo è certo. Montgomery è arrivato in Texas a metà stagione dai St. Louis Cardinals, mettendo al sicuro lo spot numero tre di una rotazione di grandissimo spessore ma che aveva perso strada facendo due assi come deGrom ed Eovaldi. 4-2 di record, con un solidissimo 2.79 di ERA in 11 partenze, questi i numeri di Montgomery, ulteriormente cresciuti nei playoff, tanto da essere il vincitore in due dei quattro successi sugli Astros (del redivivo Eovaldi gli altri due). Bravo anche come rilievo lungo, i lanci mancini di Montgomery potrebbero essere un serio ostacolo per Arizona verso il titolo. Passiamo a Pfaadt, quasi un “Mr. Irrelevant” alla Purdy: scelto solo al quinto giro del draft 2020, lo scorso giugno viene spedito in triplo A a Reno dopo un disastroso ERA di 9.82. Ritorna in MLB un mese dopo, trasformato, dimezzando la sua media pgl al punto di guadagnarsi i gradi di partente in gara 1 della Wild Card contro i Brewers. E la sua crescita non pare arrestarsi, visto che nelle quattro presenze in questi playoff ha un’ERA di 2.70; e aggiungiamo che in gara 7 contro i Phillies ha mandato k 7 battitori su 18 totali.