Sentenza Superlega, dal caos nascerà il calcio dei ricchi?

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La Corte di Giustizia UE definisce lo stop (con relative sanzioni) alla Superlega come “abuso di posizione dominante” da parte di UEFA e FIFA, mettendo di fatto in discussione l’intera struttura piramidale su cui si basano tutti gli sport più importanti, non solo il calcio, a livello mondiale. Non è un esplicito placet alla rinascita della Superlega, ma nei fatti è il primo colpo di cannone di una guerra legale e giurisdizionale in cuia pagare il prezzo saranno le serie minori.

La sentenza odierna della Corte di Giustizia europea, sollecitata dal Tribunale Commerciale di Madrid, a proposito del divieto imposto da UEFA e FIFA all’organizzazione della cosiddetta Superlega di calcio, con relative sanzioni comminate ai club fondatori, tra cui la Juventus, ha tutta l’aria di essere la prima increspatura di quello che, in qualche mese, potrebbe diventare uno tsunami pronto ad abbattersi sull’organizzazione calcistica mondiale. Calcistica e non solo, visto che molti altri sport sono organizzati con la stessa struttura piramidale che parte dalle federazioni nazionali e arriva fino alla FIFA passando per le confederazioni dei singoli continenti. Un’impalcatura giurisdizionale che, pur con mille difetti, problemi e scandali, si è sempre basata sul principio che solo gli organi facenti parte di quella piramide abbiano il potere di creare nuove competizioni per club o nazionali, aperte solo ai club (e quindi alle singole federazioni) affiliate ad essi e da essi riconosciute. Lo stesso statuto della FIGC, ad esempio, recita nell’articolo 1 che “La FIGC è l’unica federazione sportiva italiana riconosciuta dal CONI, dall’UEFA e dalla FIFA per ogni aspetto riguardante il giuoco del calcio in campo nazionale e internazionale”. E nell’articolo 2 si specifica come solo alla FIGC spetti “la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati e, in particolare, l’adozione di un sistema di licenze per la partecipazione
ai campionati professionistici in armonia con i principi dell’UEFA in materia di licenze
per le competizioni europee”.
Oggi, invece, è arrivata questa sentenza europea che dà sostanzialmente ragione ai fondatori della Superlega, stabilendo che UEFA e FIFA, essendo dei soggetti di diritto privato paragonabili ad aziende, non possono vietare a delle altre aziende dello stesso settore (in questo caso i club) di organizzarsi e creare altri tornei, pena l’abuso di posizione dominante. E a poco vale che la corte si sia affrettata a specificare come il suo pronunciamento non sia un’autorizzazione alla Superlega, ma sia solamente un divieto all’UEFA di impedirne l’organizzazione. Un gioco di parole o poco più, la cui ricaduta pratica è però chiara a tutti. In termini logici, non ci sarebbe nulla da eccepire; chiunque griderebbe allo scandalo se, ad esempio, la CGIL, essendo uno dei

più grandi sindacati italiani, si opponesse alla creazione di un nuovo sindacato ad opera di suoi iscritti o ex iscritti. Ma a nessuno, con tutto il rispetto, interessa sapere chi sia il miglior sindacalista italiano al termine della stagione degli scioperi. Nello sport, invece, oltre a quelle prettamente legali ci sono altri tipi di esigenze di cui tenere conto; una su tutte, quella che vuole che tutti i migliori si confrontino tra loro, affinché i vincitori possano realmente essere considerati come i campioni d’Italia, d’Europa o del Mondo. È il significato fondamentale dello sport, è quello che muove passioni e curiosità della gente, è il motivo per cui gli ordini d’arrivo riscritti dai giudici dopo gli scandali doping hanno rischiato di uccidere ciclismo e atletica leggera, ad esempio: gli amanti dello sport vogliono un vincitore, che diventi tale sul campo e dopo aver battuto, in maniera pulita, tutti gli avversari. E per far questo, è necessario che sia un’unica struttura piramidale a organizzare i campionati e a stabilirne criteri di accesso e promozione, dalla terza categoria su su fino ai Mondiali o alla Champions League. Che caotica buffonata sarebbe se 22 club giocassero tra di loro l’autoreferenziale Superlega e tanti altri (tra cui nomi di primissima fascia, come Bayern, Manchester United, Inter, Atletico Madrid, solo per citarne alcuni a memoria) giocassero invece una Champions League comunque svuotata di valori tecnici importanti? Il calcio vuole davvero ripercorrere i rovinosi passi della boxe, che oggi arriva a riconoscere contemporaneamente fino a cinque diversi campioni del mondo per ciascuna categoria di peso, con una contraddizione in termini perfino inutile da spiegare? O tornare ai tempi in cui il tennis si divideva tra professionisti e amatori, in cui i primi non potevano prendere parte ai tornei del Grande Slam, falsando così di conseguenza per decenni gli albi d’oro? No, nello sport come in tante altre cose della nostra società, per risolvere i problemi di oggi non serve tornare a ieri, ma trovare nuove strade che guardino al futuro. Lasciare la situazione attuale non vuol dire lasciare carta bianca a UEFA e FIFA su tutto, dai calendari alla ripartizione dei diritti, ma far saltare il sistema (un sistema che, ricordiamolo, si occupa anche di finanziare le tante serie minori) porterebbe solo caos, e benefici solo per chi avrebbe i soldi per costruirsi la propria alternativa.

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Gianluca Puzzo

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