
Nel contesto della Formula 1, il pit-stop è un elemento che negli ultimi anni ha assunto un rilevante peso specifico perché l’efficienza e rapidità dell’esecuzione risulta fondamentale per la perfetta riuscita, viceversa l’impreparazione ma soprattutto il panico può essere decisivo al fallimento del risultato finale.
Un dettaglio di non poco conto, lungo un paio di secondi, capace di fare la differenza.
In Formula 1 quando le prestazioni sono vicine, si gioca di strategia per sovvertire l’andamento del Gran Premio il cui sorpasso in pista risulta essere difficoltoso, magari approfittando di episodi.
Oggi i pit-stop sono il nucleo di tutto ciò, dove persone simultaneamente nello spazio di un respiro, cambiano le gomme, controllano che non ci siano danni, e soprattutto contribuiscono al risultato finale.
Si parla sempre più spesso di undercut, ovvero anticipare di almeno un giro la sosta ai box per sfruttare le gomme fresche in quello successivo in modo che quando il rivale si ferma, risulterà superato in virtù di quel tempo recuperato; contrariamente chiamato overcut.
Dunque un momento ad alta tensione dove in parallelo negli ultimi anni, gli addetti ai lavori sono impegnati per ridurre i pericoli.
Il tragico weekend di Imola 1994 consigliò finalmente l’introduzione di un limite di velocità nella corsia box, importanti oggi quei sensori che rilevano il fissaggio delle ruote e l’impedimento di proseguire il pit-stop qualora non fosse stata avvitata correttamente.
Ancora l’unsafe release, situazione temutissima quando una macchina riparte nello stesso momento in cui sta sopraggiungendo un’altra, dove il pilota che esce dal pit-stop deve attendere per evitare l’incidente, pena una sanzione per guida pericolosa quale potrebbe essere una penalità di cinque secondi, un drive-trough oppure una multa secondo il giudizio della pericolosità.
Altro terreno a rischio è quello dei materiali infiammabili, non ci sono più i rifornimenti di benzina, perché i serbatoi delle vetture contengono la quantità utile a completare la gara.
Sono ormai tantissimi i team radio che la regia internazionale, trasmette per partecipare lo spettatore quasi in tempo reale del dietro le quinte, perché una monoposto progettata in ogni singola area non solo deve essere veloce, ma per farlo, ha bisogno di un preciso studio che permetta la gestione delle gomme, la sua usura e durata secondo la caratteristiche del tracciato relativamente alle condizioni meteo di temperatura dell’aria e asfalto.
Facile a dirsi, meno a praticarsi, per questo i meccanici effettuano tantissime prove curando anche il proprio corpo per essere pronti a sostenere quello sforzo in così poco tempo, avvolte con errori marchiani e fatali anche pericolosi, cui non mancano esempi di come errare sia umano.
Indimenticabile il clamoroso errore che nel 1999, col senno del poi, costò a Eddie Irvine e alla Ferrari il sogno di quel Mondiale.
Nella stagione 1989 il pasticcio di Mansell alla Ferrari, che arrivò oltre l’area della sosta, poi invece di uscire dalla corsia dei box e ripetere l’operazione al giro successivo, andò direttamente in retromarcia, manovra che gli costò la bandiera nera.
Negli anni ’90 il margine di errore era altissimo, come avvenne in Portogallo nel 1991 con la posteriore destra che si staccò dalla Williams di Mansell subito dopo il cambio, poteva assumere risvolti drammatici il Gran Premio di Germania 1994, quando sulla Benetton di Verstappen (papà di Max) fuoriuscì la benzina e le fiamme avvolsero la macchina per fortuna senza conseguenze perché immediatamente spente, analoga dinamica sulla Jordan di Irvine in Belgio l’anno dopo.
Errori di frenesia anche dei piloti, come per Coulthard che in Australia sempre nella stagione 1995, in testa alla gara, andò a sbattere all’ingresso della corsia box danneggiamento irrimediabilmente la sospensione.
Problemi di ogni tipo alla Minardi in Argentina nel 1998 proprio al pilota di casa Tuero: gomme non pronte, mancata erogazione di benzina dal bocchettone preso a manate, infine lo spegnimento del motore e una spinta per ripartire.
Indimenticabile il clamoroso errore che nel 1999, col senno del poi, costò a Eddie Irvine come alla Ferrari, il sogno di quel mondiale nonostante l’infortunio di Schumacher fermo per molte gare sostituito da Salo.
Quel Gran Premio d’Europa fu caratterizzato dal meteo come variabile impazzita, così Irvine dopo aver chiesto gomme da bagnato, cambiò idea all’ultimo momento per rimanere con quelle d’asciutto e nella confusione, mancava la posteriore destra tra l’attesa di prenderla e l’indecisione se fosse quella giusta o meno, costò tantissimo tempo e inoltre, pochi minuti dopo, furono tutti costretti a montare il pneumatico da bagnato per l’intensificarsi della pioggia.
Ancora la pioggia protagonista nel 2001 quando in Malesia, entrambe le Ferrari nel dubbio se montare l’intermedia o bagnato estremo, rimasero ferme oltre un minuto, una dietro l’altra.
Stagione 2007 a Montreal, quando i meccanici della Super Aguri inquadrati dalle telecamere, non si resero conto che il loro pilota Davidson, era fermo nella piazzuola per la sosta improvvisa causata dal danno all’ala anteriore.
Mesi dopo, costò il titolo del rookie Hamilton quanto avvenne in Cina, perché rientrando al box con le gomme intermedie praticamente sulle tele e senza più aderenza, finì per insabbiarsi.
Un errore anche del box che non richiamò anzitempo il pilota, dinamica cui maggiore attenzione avrebbe portato il titolo mondiale visto il vantaggio di Raikkonen e della Ferrari, che approfittarono di quella fatale disattenzione.
L’anno dopo, ancora Ferrari (purtroppo) protagonista a Singapore per l’errore di comunicazione che costò non solo la gara di Massa, ma probabilmente il mondiale visti i punti persi nella circostanza di partire anticipatamente col bocchettone della benzina ancora attaccato.
Incidente analogo in Brasile nel 2009 di Kovalainen, tanto che il liquido rimasto nella conduttura bagnò la pit-lane incendiando per un attimo l’abitacolo della Ferrari di Raikkonen.
In Ungheria nel 2010 l’incidente tra Kubica (Renault) e Sutil (Force India), il primo in uscita dalla sosta ed il seconda viceversa, in entrata verso il suo box con grande pericolo dei meccanici vicini.
Fare un doppio pit-stop nello stesso giro avvolte può essere complicato, lo sanno bene alla Red Bull dopo quanto avvenne a Montecarlo nel 2011, con lite plateale degli addetti.
Ancora guai alla Red Bull nel 2016 che costarono la vittoria del Gran Premio di Monaco a Ricciardo, quando smontate le gomme, quelle nuove non erano pronte per un’istantanea decisione che cambiò la tipologia di mescola.
Problemi pure all’imbattibile Mercedes 2019 ad Hockenheim.
Hamilton sotto la pioggia andò in testa coda poco dopo la linea che invita l’ingresso alla corsia del box, tra l’altro un Gran Premio speciale per le Frecce d’Argento per l’occasione con la livrea speciale.
L’inglese raggiunse di fretta i box mentre i meccanici non erano minimamente pronti, il cambio delle gomme e del muso danneggiato durò moltissimo, anche perché nel caos, i meccanici avevano montato le gomme d’asciutto piuttosto di quelle intermedie.
Più vicino ai giorni nostri, in Bahrein nel 2020 il doppio pit-stop Mercedes si rivelò troppo ottimistico, quando Bottas arrivò praticamente dietro Hamilton, ed i meccanici con accanto le gomme smontate da una macchina, si ritrovarono davanti quella del finlandese, operazione che mandò in tilt la comitiva di meccanici.
Nel 2021 in Spagna fu disastroso il pit-stop quello degli uomini Alfa Romeo Sauber che rovinarono la gara di Giovinazzi, l’addetto all’anteriore sinistra si accorse essere sgonfia e quindi non poteva essere montata, seguirono attimi di tribolazione, si corse nel retro-box fino a montare un nuovo treno di gomme in un via-vai di meccanici.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.