MORTO O.J. SIMPSON, L’UOMO DALLE QUATTRO VITE

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È scomparso ieri, a 76 anni, O.J. Simpson, ex stella del football NFL, poi attore, infine protagonista di un processo epocale per l’omicidio della ex moglie e di un cameriere da cui uscì assolto. Salvo poi tornare in carcere dopo una condanna per rapina a mano armata e sequestro di persona.

O.J.

Simpson si è spento ieri a Las Vegas a 76 anni, a causa del cancro di cui era malato da tempo, chiudendo così, in silenzio e nell’ombra, una vita che per lunghi tratti è invece stata tutt’altro, sempre sotto i riflettori, anche se di diverso tipo. Prima quelli degli stadi della NFL, dove ha lasciato un segno importante a metà degli anni Settanta, poi le luci dei set televisivi e cinematografici (era lui l’indimenticabile agente Nordberg della trilogia de “La pallottola spuntata”), infine i neon delle aule giudiziarie e del carcere, sotto cui ha trascorso buona parte dell’ultimo scorcio della sua vita.
Orenthal James Simpson nasce nel 1947 a San Francisco; la madre è impiegata in un ospedale e il padre si alterna tra il lavoro di cuoco e quello di custode in una banca. Ma è solo apparenza, visto che Jimmy Lee Simpson è in realtà una delle più conosciute drag queen della città: farà “coming out” solo poco prima di morire, a causa dell’AIDS, nel 1986. O.J. vive una giovinezza molto complicata, sia per la salute (era affetto da rachitismo) sia per le sue frequentazioni; entrerà a far parte di una gang, i “Persian Warriors”, e finirà per tre volte in riformatorio per reati minori. A cambiare il corso della sua “prima” vita sarà un incontro, quello con Willie Mays, superstar del baseball dell’epoca, che lo convincerà ad andare alla High School, dove si metterà subito in evidenza giocando a football. Nel ’66 O.J. Simpson sceglie di giocare per la USC (University of Southern California), con cui conquisterà l’Heisman Trophy, il premio per il miglior giocatore universitario, al termine della straordinaria stagione 1968, in cui farà registrare 1.709 yard corse e 22 touchdown, pur perdendo la finale del Rose Bowl contro Ohio State.
Prima scelta assoluta al Common Draft del 1969 (quando le leghe professionistiche erano ancora due, AFL e NFL), Simpson viene selezionato dai Buffalo Bills, militanti nella AFL, che avevano chiuso la stagione precedente con una sola vittoria in quattordici partite. Tutti i tifosi vedono in Simpson l’uomo della rinascita, ma non sarà così fino al 1972, l’anno in cui l’arrivo di un nuovo coach, Lou Saban, lo metterà finalmente al centro degli schemi offensivi. Nel ’72 Simpson correrà per la prima volta in carriera più di mille yard stagionali, ma sarà il 1973 l’anno della sua consacrazione, quando supererà le duemila yard stagionali (2.003) in sole 14 partite, record ancora oggi imbattuto che gli varrà anche il premio come MVP del campionato. Oltrepasserà le mille yard anche nelle tre stagioni seguenti, malgrado alcuni problemi alle ginocchia, ma la generale mediocrità della squadra gli impedirà di ambire al titolo; giocherà infatti una sola partita di post season nella sua carriera, nel 1974, persa 32-14 contro gli Steelers. Concluderà la sua carriera con la maglia dei 49ers, la sua città natale, nel 1978 e ’79, ritirandosi con un totale di 11.236 yard corse, 2.142 ricevute e un totale di 75 touchdown segnati. Oltre al record già citato, Simpson detiene tuttora anche quello di essere l’unico giocatore ad aver percorso più di 200 yard in sei partite.

Tutto sembra procedere a gonfie vele per Simpson nella sua seconda vita, ma il 12 giugno 1994 ogni cosa va in pezzi…

Appeso il casco al chiodo, O.J. Simpson si dedica a quella carriera televisiva e cinematografica che aveva già parzialmente intrapreso negli ultimi anni di NFL, ottenendo piccoli ruoli in film di successo come “Inferno di cristallo”, “Cassandra Crossing” e “Capricorn One”. È protagonista di molti spot pubblicitari, commentatore del Monday Night per la NBC, ma raggiunge l’apice della fama con la trilogia di film comici de “La pallottola spuntata”, dal 1988 al 1994, in cui interpreta il malcapitato agente Nordberg al fianco di Leslie Nielsen.
Tutto sembra procedere a gonfie vele per Simpson nella sua seconda vita, ma il 12 giugno 1994 ogni cosa va in pezzi: il corpo senza vita della sua seconda ex moglie, Nicole Brown, da cui aveva divorziato nel ’92, viene ritrovato davanti alla sua casa, accanto a quello di Ron Lyle Goldman, cameriere, passato di là per restituire alla Brown un paio di occhiali da sole dimenticato al ristorante, entrambi uccisi a coltellate. Le molte denunce per violenza domestica presentate negli anni passati dalla donna a carico dell’ex marito fanno cadere subito tutti i sospetti su Simpson, scatenando così una clamorosa caccia all’uomo che culminerà nell’inseguimento in diretta tv in cui milioni di americani vedranno il campione in fuga sulla sua Ford Bronco bianca inseguito da uno stuolo di volanti della polizia, fino alla cattura. Ne seguirà un processo, mediatico e giudiziario, epocale, in cui alle prove indiziarie, apparentemente schiaccianti contro Simpson, si mescoleranno questioni razziali e politiche; poco più di dodici mesi di battaglia grottesca e surreale, un braccio di ferro interminabile tra bianchi giustizialisti e afroamericani innocentisti in difesa del campione cui tutto poteva essere permesso e perdonato, fino all’incredibile verdetto di assoluzione.
Sembra chiudersi lì la “terza vita” di Simpson, quella spesa tra aule giudiziarie e processi (ce ne sarà anche uno civile verso i familiari delle vittime, che lo vedrà sconfitto), invece bastano pochi anni e anche il quarto e ultimo spezzone di esistenza diventa per O.J. un continuo confrontarsi con la giustizia americana, un po’ perché ormai qualsiasi sciocchezza lui commetta finisce su tutti i giornali (come nel 2004, quando viene condannato a Miami per aver utilizzato abusivamente la tv via cavo) e un po’ perché il campione ne inventa di ogni tipo pur di mantenere l’alto stile di vita cui era ormai abituato, sfuggendo continuamente ai creditori. E proprio la continua ricerca di soldi finisce per tradirlo nel 2007, quando viene arrestato a Las Vegas con l’accusa di aver rubato dei cimeli della sua stessa carriera. Sulle prime Simpson si difende sostentendo di essere lui il legittimo proprietario di quegli oggetti, ma in seguito si scoprirà tutt’altro, cioè che aveva organizzato quella vendita sotto falso nome, convocando i commercianti per rientrarne in possesso e minacciando i legittimi proprietari con una pistola. Stavolta prove e testimonianze, anche dei suoi stessi complici, sono troppo schiaccianti e nulla può salvare Simpson da una condanna certa: arriveranno 33 anni di carcere, che nel 2017 si trasformeranno in libertà vigilata. Fino all’annuncio del cancro di pochi mesi fa e alla fine giunta ieri, chiusura di un’esistenza tra le più controverse della storia dello sport, a metà tra la luce scintillante dell’Olimpo delle leggende e l’inferno delle anime più nere.

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Gianluca Puzzo

Un commento

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  • Ha vissuto molte vite, tutte intense, a volte discutibili ma mai banali. A me piace ricordare l’atleta, il campione inarrivabile. Il resto è solo cronaca, triste cronaca. Grazie per avere ricordato questa figura che resterà nella storia dello sport.

Gianluca Puzzo

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