Una delle cose più interessanti che il basket riesce a regalare ai suoi insaziabili amanti è un ticket gratuito sull’ottovolante di quelle frenetiche emozioni tanto folli da percuotere i sensi e drogare le menti. Le NBA Finals 2015, finora, sono riuscite in una serie di imprese degne di nota: da un inizio spumeggiante di Curry & Compagni ai 41 punti di media a partita di LeBron James, transitando per due gare di fila portate a casa da Cleveland sotto lo sguardo smarrito degli Warriors.
Quarto appuntamento della serie. Molti, forse in troppi, si sarebbero aspettati una tripla degli audaci Cavalieri. Si sa, i pronostici vivono di vita propria solo il lasso temporale del pre-game ed esistono unicamente per essere sfatati. Nella decisiva Gara 4 l’urlo di guerra degli Warriors scuote la Quick & Loans Arena fin dalle fondamenta: tremano le colonne portanti, vibrano i listelli del parquet, ondeggiano le retine dei canestri. La furia di Oakland non conosce confini e converte la delusione cocente degli ultimi match in energia positiva e propositiva per pareggiare i conti. Golden State si scrolla la polvere di dosso, contrae i muscoli, guarda in alto e ritorna in cattedra, assestando un doloroso fendente all’entusiasmo degli avversari: 103-82.
Bogut in panchina, Iguodala partente e Green al centro: coach Kerr prova a rimescolare le carte per azzannare alla gola e portare a casa la vittoria della sopravvivenza. Iguadola regala 22 punti alla causa (ripagando lautamente la fiducia riposta in lui) mentre l’MVP Steph Curry, con quattro triple (su 7) mandate a segno (alcune decisive per ricacciare indietro l’assalto dei Cavs alla fine del terzo periodo), torna ad essere il giocatore ammirato di sempre. Sull’altro fronte si registra una “bassa” prestazione del Prescelto, il quale stanco dopo le ultime gesta eroiche, tira con 7 su 22 del campo e chiude i giochi con “soli” 20 punti, seppur con 8 assist e 12 rimbalzi; ottima la prova di Mozgov (28 punti) a fronte di quelle pessime degli esterni, con il solo Dellavedova (10 punti) in grado di raggiungere la doppia cifra.
I Cavs partono benissimo (nella sgargiante casacca gialla stile anni 70) con un 7-0 repentino, che lascia ben sperare per il prosieguo. I californiani colludono e non fanno che sbagliare i primi tiri. Ma il ritmo è destinato a cambiare. Così è scritto. Entro breve per giunta! Barnes permette l’allungo, dopo di che tutto appare più facile per gli ospiti, che giocano con la mente libera e una fluida circolazione di palla, oltre ad un pungente contropiede (marchio di fabbrica durante tutta la regular season). Il primo quarto si chiude con Golden State a +7 (24-31) con 9 punti di Iguodala e 9 assist su 12 canestri per la squadra di Kerr (0 palle perse). Anche il secondo quarto si palesa nettamente a vantaggio dei californiani (32-44) grazie a Barbosa e Livingston, mentre i Cavs riescono a distinguersi solo grazie ai rimbalzi di Thompson. Ad un tratto LeBron inizia una delle sue prodezze, salta con la palla stretta in mano e si ritrova a terra, sbattendo con forza la testa contro una telecamera. Per fortuna nulla di grave, ma un vistoso taglio lo accompagnerà per il resto dell’incontro. Green arriva a quota 11 e Golden State tocca il +15 (33-48) a meno di 4’ dalla pausa.
Terzo Quarto. “Delly” Dellavedova apre il sipario con due triple, ma è ancora una volta Iguodala a rispondere. LeBron finalmente focalizza il canestro nel suo mirino. Gli Warriors sbagliano un paio di tiri facili e sembra che stiano per scivolare nuovamente nell’oblio dei giorni scorsi. Il parziale interno vale -3 punti (62-65) a circa 5’ dalla conclusione, con 20 punti di Cleveland in 7’. Tripla inaspettata di Curry, 70-76. Con James a prendere fiato in panchina ci si avvia all’ultimo periodo (70-80). Gli Warriors appaiono fiduciosi e convinti dei propri mezzi. Mancano meno di 8’ e la Quick & Loans Arena si tuffa in uno strano silenzio. Iguodala infilza il suo quarto canestro (77-93) mentre c’è già chi, tra il pubblico, prende la strada verso casa.
Coming back to California! Ora gli Warriors ritornano ad essere i padroni del loro destino.
È mancato LeBron e i Cavs sono cascati come Willy il Coyote tra le pareti del Gran Canyon. Verrebbe da chiedersi: “E il resto della squadra? Possibile che non abbiano saputo sopperire alla mancanza del loro Re?”. Situazione altamente pericolosa… L’intensa prestazione di Cleveland nelle ultime due gare, una panchina cortissima unitamente alla fatica di giocare tre partite in soli 5 giorni si fa sentire. Dall’altra parte, invece, Golden State ha dimostrato di essere più corale, più squadra rispetto ai padroni di casa. Steph Curry, per la gioia dei suoi sostenitori, fa un bel reset mentale delle critiche al vetriolo ricevute in Gara 3 (e non solo): torna sui suoi incredibili livelli e squilla la tromba della riscossa. Gli Warriors rientrano alla Oracle Arena sul 2-2 con l’opportunità, tutt’altro che remota, di conquistare il titolo davanti al proprio pubblico.
Avevo pronosticato di allacciare le cinture di sicurezza ben strette per fronteggiare le montagne russe di queste Finals: mai verdetto fu più azzeccato!