Campionati “aperti”: il grande bluff targato Europa (1a parte)

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La conclusione dei principali campionati di calcio europei ci offre l’occasione per affrontare, numeri alla mano, un argomento quantomai attuale e spinoso: le cosiddette “leghe aperte” offrono realmente più ampie possibilità di successo a un numero maggiore di club, rispetto alle “leghe chiuse”, oppure no?

Con la Champions League avviata a diventare una Superlega continentale aperta a pochi e ricchissimi eletti; con il “deus ex machina” della nostra federcalcio che definisce come disastrose le eventuali promozioni in serie A di Carpi e Frosinone (poi puntualmente verificatesi, complimenti), ci è sembrato opportuno fare un confronto con chi di “leghe chiuse” se ne intende davvero, cioè gli Stati Uniti.

Prima di addentrarci nei numeri, comunque, chiariamo per i meno avvezzi di cosa stiamo parlando: per “aperti” si intendono tutti quei campionati in cui è previsto, fin dai livelli dilettantistici, il sistema delle promozioni e retrocessioni, per cui una serie non è mai composta per due stagioni di fila dalle stesse squadre. Questo sistema, apparentemente molto democratico, offre la possibilità teorica ad ogni club esistente nel Paese di arrivare al top, promozione dopo promozione, fino allo scudetto. I campionati chiusi sono invece quelli statunitensi, in cui il numero e la collocazione geografica è sempre la stessa, e comunque quando muta (con espansioni o ricollocamenti) è sempre decisa dall’alto, dalla lega, e mai da un sistema di promozioni da serie minori. Una squadra di basket NBA, ad esempio, potrebbe anche perdere tutte le partite della stagione, senza per questo perdere il proprio posto nell’elite della pallacanestro mondiale. Anzi, il suo ultimo posto le dà accesso ad alcuni vantaggi (prima scelta nel draft universitario, maggior margine di crescita del salary cap, maggior percentuale nella suddivisione dei diritti tv), tutti finalizzati a ricucire il gap tecnico con le altre squadre e a rendere quindi ancor più equilibrato il campionato seguente. Sia chiaro, nella parola “equilibrato” non c’è nulla di decoubertiniano, ma semplicemente un campionato incerto vende più biglietti, più abbonamenti alla pay tv, più sponsorizzazioni ecc. ecc.

Veniamo ai numeri. Abbiamo preso in considerazione gli ultimi 20 titoli assegnati nei 4 principali campionati europei di calcio (Italia, Inghilterra, Germania e Spagna) e in altrettanti campionati professionistici a stelle e strisce (baseball MLB, football americano NFL, basket NBA e hockey su ghiaccio NHL) e ne abbiamo analizzato la distribuzione.

I numeri emersi non lasciano granché spazio ai dubbi: in Serie A il 45% degli ultimi 20 titoli è andato alla Juventus, il 25% all’Inter e il 20% al Milan. Uniche a inserirsi, con un solo titolo a testa, sono state Roma e Lazio, che hanno però pagato i loro successi a carissimo prezzo, rischiando entrambe pesanti collassi economici negli anni successivi. In sintesi, abbiamo solo 5 squadre per 20 scudetti, e 3 di queste se ne sono aggiudicate il 90%.

In Premier League il Manchester United vanta il 55% di titoli (11 su 20), con Chelsea e Arsenal ferme rispettivamente al 20 e al 15%. In coda c’è il Manchester City, con 2 titoli, quindi l’Inghilterra ha numeri ancora più chiusi dei nostri: 4 squadre per 20 titoli!

La Bundesliga tedesca è decisamente più aperta, per gli standard europei: 6 squadre diverse si sono spartite i titoli degli ultimi 20 anni. Ma la spartizione non è stata certo equa, con il Bayern Monaco capace di vincerne il 60% (12 titoli) e il Borussia Dortmund il 20%. Gli altri 4 club sono fermi a un titolo ciascuno, quindi due sole squadre si sono accaparrate l’80% dei titoli degli ultimi 20 anni.

Infine la Spagna, dove la situazione non cambia affatto, con il Barcellona vincente nel 40% delle ultime venti edizioni della Liga e il Real poco indietro, col 30%. Dietro di loro le briciole, con sole altre 3 squadre vincenti in un ventennio (Atletico Madrid, Deportivo e Valencia). Le prime 2 della classe detengono quindi il 70% dei titoli, e si sale all’80% se si considerano anche i due scudetti dell’Atletico. Numeri impressionanti, ma ironicamente bassi, se paragonati al 90% italiano e inglese e all’85% tedesco.

Ma se la Liga vi sembra un buon esempio d’incertezza sportiva, state per avere qualche amara sorpresa.

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Gianluca Puzzo

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