Prima un riflettore. Poi l’altro. E un altro ancora. Lampi di luce, densi, accecanti, si rincorrono velocemente. È così che ci piace immaginare, in chiave volutamente cinematografica, il modo in cui i parquet più osannati al mondo si riprendono la centralità (che spetta loro di diritto) nel basket mondiale.
“Cleveland, this is for you!”. Con queste parole, venate di calde lacrime e commovente passione, LeBron James ha posto il suo regale sigillo sulla passata stagione NBA (2015-2016), regalando agli archivi un evento mai verificatosi prima. I Cleveland Cavaliers, finalmente trionfanti nell’Olimpo sportivo a cui tutti gli atleti ambiscono, sono diventati Campioni Assoluti dopo aver sovvertito, con arroganza e determinazione, un parziale negativo di 3-1. Una prima volta senza precedenti. Una prima volta che ha lasciato un segno indelebile. Una prima volta che ha permesso di alzare, sempre più in alto (se possibile), le incredibili prestazioni atletiche di (semplici) esseri umani divenuti (all’occorrenza) semi-divinità.
Da qui riprendiamo le fila del nostro discorso cestistico, azzerando gli orologi e rispolverando le retine dei canestri. La notte del 25 e 26 ottobre scorso i Cavalieri hanno serrato i ranghi e riaperto le danze tribali su epiche note riecheggianti per la vasta Quicken Loans Arena (meglio conosciuta con il familiare “The Q”). Il trofeo tanto agognato al centro del campo mentre grossi anelli brillavano dinnanzi agli occhi sognanti di una folla oceanica, metà euforica e metà delirante. Sono loro gli avversari più temuti, il team da battere in questa nuova stagione a “gravità zero”: soldati della palla a a spicchi che hanno voluto, desiderato e strappato lo scettro del potere dalle mani di Steph Curry e compagni in una delle Finals più emozionanti di sempre. Immediatamente dopo, in una sorta di ranking ideale per la corsa al titolo, troviamo i Warriors di Golden State, i vice Campioni in carica, capaci di frantumare record su record con una facilità imbarazzante, attraverso un gioco fluido, veloce e dirompente, perfetto sotto il profilo strategico.
Nell’Opening Game del mese scorso, King James e Sir Irving non hanno tradito le aspettative, spazzando via i Knicks di coach Hornacek con un sonoro 117-88, mostrando subito lo spasmo nervoso di muscoli guizzanti e una fame di vittoria non ancora appagata. Sull’altro versante della cartina, gli Splash Brothers (Curry e Thompson) hanno mutato pelle, trasformandosi in un Fantastico Trio, grazie all’arrivo della superstar Kevin Durant. Grande nome, brillanti performance e ottimo talento che non sono serviti, però, ad evitare la prima sconfitta stagionale contro il temutissimo quintetto texano dei San Antonio Spurs di Leonard e Aldridge (100-129).
La Eastern Conference pulsa e si agita, attraversata in lungo e largo della spasmodica voglia di confrontarsi con i detentori del titolo per scalzarli: i Celtics e i Raptors (della Atlantic Division), seguiti dai Pacers e dai Bulls (della Central Division) sembrano essere i più accreditati per turbare i sogni Coach Lue. La Southeast Division, invece, non ha grosse ambizioni da schierare sotto canestro a causa di un voluto piano riorganizzativo di “team reset” che vede coinvolte tutte le squadre dell’area. Western Conference: cortile di gioco dell’orgoglio italico Danilo Gallinari e dei suoi amici di merenda, i Denver Nuggets. Campanilismo a parte, le Pepite e i Thunders (Northwest Division) non possiedono l’armamentario necessario per contrapporsi all’avanzata dei più solidi e strutturati Blazers e Jazz. Ancora un anno di passione per il “Gallo”, quindi, in attesa di tempi migliori, nonostante lo scorso anno abbia concluso la stagione con la sua migliore prestazione di sempre (19,5 punti di media a partita). Spostiamoci un po’ a sud, varchiamo il confine dello sconfinato Texas. Si, proprio li dove hanno iniziato a guardarsi in cagnesco, con tanto di rivoli bavosi alla bocca e occhi iniettati di sangue, le tre sorellastre della cinta meridionale: San Antonio, Houston e Dallas. Le aspettative sono alte, sono promessi fuochi d’artificio, ma non commettiamo l’imperdonabile errore di lasciar scivolare nell’oblio i sempre famelici Grizzlies!
Per quanto concerne gli “altri italiani” a Stelle e Strisce, bisogna registrare il forfait di Datome e Bargnani, migrati altrove per nuove strade e rinnovate aspettative. Anche Mr. Belinelli ha deciso di spostarsi, senza abbandonare il suolo americano, acquistando un biglietto di sola andata per Charlotte, con la speranza di trovare fortuna tra quei Calabroni (gli Hornets) di proprietà di un certo Micheal “Air” Jordan, affiancandosi ad altri talenti della portata di Walker e Lamb.
Il prologo è scritto. La copertina sembra essere promettente. La storia affascinante come sempre. I primi capitoli non fanno che confermarlo. Non resta che lasciarsi trascinare dalle parole entusiasmanti di questo nuovo libro su cui spicca, lucente e dorato, un titolo che tutti stavamo aspettando da troppo tempo ormai: “NBA… once again”!