Alè, ragazzi!

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Dopo quarantasette anni la Coppa Davis torna in Italia. Frutto di programmazione e di un movimento tennistico in ascesa che grazie alla giovane età dei suoi protagonisti promette emozioni ancora per tanti anni. Gianluca Puzzo e Andrea La Rosa celebrano con un articolo a quattro mani la storica impresa di cinque ragazzi.

La vittoria dell’Italia in Coppa Davis era, insieme all’oro olimpico nei 100 metri e alla Champions League della Roma, uno dei traguardi sportivi che mai avrei pensato di vedere nella mia vita. Dopo Jacobs a Tokyo mi sarei accontentato di quel 33% di soddisfazione, ma dopo ieri sera posso dire di essere salito a un ragguardevole 66%, mancando ormai solo l’ultimo, fantascientifico passo che darebbe alla mia esistenza un senso di compiutezza sportiva assoluta. Cresciuto in piena era-Galgani, l’ex presidente della FIT che sosteneva che solo la Davis contasse nel tennis, altoché i tornei (figuriamoci…), non mancavo mai un weekend di questa competizione davanti alla tv, senza farmi intimidire da fusi orari impossibili, da match interminabili e, spesso, dalle scarse speranze di gioire per i nostri, sempre accompagnato dalla voce indimenticabile di Giampiero Galeazzi, che tra un “turborovescio” e un “alè ragazzi” ce la metteva tutta per tenere alto il morale sul divano. Decenni di esaltazioni tanto improvvise quanto effimere, come la vittoria sulla Svezia di Wilander nelle “quattro giornate di Cagliari”, o quella sugli Usa a Milwaukee, cui puntualmente non si riusciva a dare continuità nei turni successivi. Questi risultati erano l’esatto specchio del nostro livello, con pochissimi buoni giocatori cui il talento regalava, di tanto in tanto, delle giornate eroiche, ma senza che mai trovassero la continuità a quei livelli, vero spartiacque tra i campioni e, appunto, i buoni giocatori. Fino a ieri, il giorno in cui l’Italia del tennis ha incredibilmente bissato la vittoria del ’76, colta in Cile tra mille polemiche politiche e nel silenzio pressoché totale dei media dell’epoca (perfino la Rai mandò solo un inviato della radio); nessuna clandestinità, stavolta, e nessun dubbio, l’Italia era davvero la squadra più forte, anche senza Berrettini (col quale saremmo stati addirittura ingiocabili sul tappeto indoor) e con Musetti infortunatosi dopo un set nella semifinale contro la Serbia. E davvero a nulla valgono le considerazioni (concettualmente anche giuste) sulla bruttezza di questa formula tanto diversa da quella originale; le nuove regole non le ha certo fatte l’Italia e non sono in vigore da quest’anno, semplicemente si gioca con le regole che ci sono, ed in questo siamo stati i migliori.
A Malaga, la squadra si è stretta intorno al suo campione annunciato, Yannick Sinner, com’è normale che sia per tutte le squadre; reduce dalle ATP Finals in cui aveva ceduto solo in finale a Djokovic, ha preso sulle spalle l’Italia sia nei quarti contro l’Olanda che in semifinale contro la Serbia. In entrambe le situazioni aveva il peso di dover portare due punti, viste le sconfitte di Arnaldi e Musetti nei singolari d’apertura, e lo ha fatto sia in singolare (leggendaria la “vendetta” contro Djokovic dopo aver annullato tre match point consecutivi) che in doppio, accanto a un Sonego vero uomo Davis, cui va ascritto anche il merito di averci salvato nel girone di qualificazione contro il Cile, quando Sinner non c’era. La finale è stata paradossalmente il passo più semplice per Sinner, che grazie alla sofferta vittoria di Arnaldi in apertura ha potuto giocare a briglia sciolta contro DeMinaur, giocatore che ha sempre dominato, vincendo senza soffrire minimamente. Grazie ragazzi, per una giornata davvero indimenticabile.
(Gianluca Puzzo)

Ricordo l’epopea di Schumacher con la Ferrari davanti agli occhi di chi, seppur adolescente, era convinto dell’irripetibilità di quei risultati, e ancora l’emozione del mondiale 2006 pochi giorni dopo l’esame di maturità, come il più recente europeo di calcio vinto dopo la pandemia, quasi a risarcimento morale di quel drammatico periodo.
Quando due anni addietro scrissi l’articolo su quella memorabile estate italiana, contraddistinta alle Olimpiadi da trionfi più unici che rari, ero convinto di aver raggiunto l’apice emotivo, sportivamente parlando.
Evidentemente non avevo fatto i conti col tennis, lo sport che sembra essere inventato del diavolo, come affermato da Adriano Panatta, perché quando pensi di giocare bene, basta un minimo rilassamento per capovolgere la partita e motivare l’avversario cambiando l’inerzia dei colpi e la sicurezza di gambe, braccia ma soprattutto della testa. Oggi è definitivamente cestinata quella finale del 1998 quando, sul più bello, la spalla destra di Andrea Gaudenzi fece crack, oggi facciamo tutti parte della storia da raccontare e chissà, ancora da scrivere e tramandare.
In queste righe sarebbe fuori luogo, come spesso facciamo su SportOne, analizzare i numeri delle qualificazioni, punteggi e quant’altro che hanno portato l’Italia del tennis a questo storico risultato, doveroso invece tributare un ringraziamento ai protagonisti, capaci per un intero weekend, di tenere incollati alla televisione non solo appassionati, ma sportivi in generale anche coinvolti nei ricordi di genitori e nonni che, da sempre, hanno tramandato quell’unico successo risalente al 1976.
La forza della squadra capitanata dall’ex tennista Filippo Volandri, formata dal meglio in circolazione con l’obiettivo di fare bene e riscrivere la storia, lontana dal lato solito che caratterizza questo sport, perchè la Coppa David è diversa, i singoli per vincere diventano squadra.
Inevitabile riconoscere il peso specifico di Jannik Sinner, probabilmente in queste settimane numero uno al mondo indipendentemente da quello che dice la classifica (n°4 Atp), capace contro la Serbia di battere uno che di nome fa Novak e di cognome Djokovic, rimandando al mittente con personalità ben tre match-point, l’unico a crederci in quel momento della semifinale poi diventato crocevia.
Da lui sono passati i momenti clou, un jolly la vittoria di Arnaldi nella prima partita della finale, per un movimento che in generale vista la giovane età media, oltre al ranking internazionale che vede ben cinque tennisti italiani tra i primi cinquanta al mondo, farà avvicinare tanti bambini a questo sport incrementandone il movimento, aspettando che Matteo Berrettini riaccenda il suo tennis.
Ultime righe dedicate a Giampiero Galeazzi, in prima linea quando c’era da raccontare i weekend di Davis, vulcanico nelle sue telecronache sportive che in qualche modo, doveva trattenersi quando commentava gli incontri di uno sport dove silenzio e concentrazione sono tutto, dire “Alè” al termine di uno scambio a nostro favore era una forma di pacata esultanza.
Colpo grosso stavolta, esultiamo tutti, Alè da San Candido a Portopalo.
(Andrea La Rosa)

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Andrea La Rosa

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