Battiato, genio dei due mondi

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Oggi è scomparso Franco Battiato, leggendario compositore siciliano, capace di unire all’interno dei suoi capolavori generi musicali altrimenti considerati inconciliabili: dal pop alla classica, dalla canzone d’autore al progressive rock, dalla musica orientale all’elettronica.

Non provate a catalogare Franco Battiato in un genere musicale, non provate a incasellarlo, ad attaccargli una qualsiasi etichetta che lo faccia appartenere a un’area specifica della musica. Battiato era la Musica, di qualsiasi tipo e proveniente da qualsiasi latitudine; la sua unicità era proprio questa geniale capacità di unire all’interno di un solo pezzo mondi apparentemente lontanissimi, impossibili da avvicinare per chiunque altro che non fosse lui. Dal pop alla classica, dalla canzone d’autore al progressive rock, dalla musica orientale a quella elettronica, il genio di Battiato è stato talmente grande da riuscire ad attraversare cinquant’anni di musica mondiale, non solo italiana, scrivendo una quantità enorme di capolavori in cui è impossibile non ritrovare continuamente contaminazioni, sempre mantenendosi ben al di sopra delle “immondizie musicali” che ci infestano.
Negli anni Settanta piomba sull’Italia del boom come un uragano creativo, a lungo contrastato, incompreso e osteggiato dall’establishment delle nostre canzonette; provocatorio (chi si ricorda la copertina di “Fetus”?), solitario, riservatissimo, privo di qualsiasi concessione al gossip e alle mode, Battiato anticipa di diversi anni l’uso dell’elettronica che la farà poi da padrona negli anni Ottanta. E quando tutti passeranno all’elettronica, lui farà un’altra “U turn”, tornando alla canzone

d’autore ma alla sua maniera, mettendo l’orchestra intorno alle chitarre rock, unendo sonorità mediorientali e nordafricane al pop, canterà cover dei Beatles, Jimmy Hendrix, una stupenda versione di Ruby Tuesday dei Rolling Stones, scriverà la canzone d’amore perfetta (La cura) e violenti, amarissimi versi di denuncia verso la sua “Povera Patria” (la medesima e “Il ballo del potere). Battiato infilerà nelle sue canzoni citazioni altissime (indimenticabile l’intro di “Di passaggio”, con Sgalambro che recita Eraclito) e molto più prosaicamente titoli di dischi altrui, perfino citazioni di Alan Sorrenti, per non prendersi troppo sul serio. La sua arte ha unito Tozeur alla Sicilia, la Prospettiva Nevski di San Pietroburgo ad Alexander Platz di Berlino, il Cafè de la Paix di Parigi alle atmosfere di Istanbul: tutto questo partendo da un pentagramma e dalla genialità, il suo vero centro di gravità permanente. Franco Battiato non è mai stato semplice da ascoltare, ma non per la sua intellettualità, bensì per la sua perfezione: almeno una quindicina di canzoni (e sono tantissime) sono semplicemente perfette. Tu le ascolti e ti mettono quasi in soggezione: ogni nota perfettamente al suo posto, ogni strumento che entra e si sovrappone senza lasciarti il dubbio che possano esistere strade alternative, un riff che porta la tua anima in alto, donandole un attimo di eternità al di sopra della temporanea esistenza umana.

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Gianluca Puzzo

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