Come molti altri allenatori, anche Rafael Benítez Maudes ha iniziato la sua carriera in panchina dopo aver mancato l’accesso al calcio d’élite da giocatore. Entra nel settore giovanile del Real Madrid e arriva fino alla terza squadra ma per sua ammissione non aveva le condizioni genetiche per arrivare a grandissimo livello.
Il “nerd” tra gli allenatori, roba che Sarri al confronto impallidisce, a 13 anni già studiava compagni e avversari, annotando persino gli esercizi dell’allenamento in un quaderno di appunti; da giocatore professionista arriva addirittura all’auto-videoanalisi, studiando i propri movimenti e quelli della squadra su VHS (ma anche su Betamax: siamo ancora a inizio anni ’80); a 22 anni si è già laureato all’INEF (l’equivalente del nostro ex ISEF); a 29 ha già il patentino da allenatore; è forse uno dei primi al mondo a usare i personal computer (Commodore 64 e ZX Spectrum) per elaborare dati sulle squadre.
La sua seconda pelle è Arrigo Sacchi, tanto da essere soprannominato Arrigo Benítez e dopo venti anni il madridista torna a casa, la casa più esigente al mondo! Benítez è solo il terzo allenatore madrileno in 113 anni e nella storia recente del Real hanno vinto tecnici italiani, portoghesi, tedeschi, ma l’unico spagnolo a farcela è stato Vicente del Bosque. Un uomo tranquillo, che ritiene fondamentale instaurare un buon rapporto con i giocatori, “una sintonia personale”.
La mia avversione per Benitez è nota e più volte, da collaudato romanista, ho dormito su sette guanciali finchè era lui alla guida del Napoli, depotenziando una macchina che già negli anni passati poteva sfondare, annichilendo giocatori come Higuain, Hamsik, Insigne, l’irriconoscibile Jorginho ed emarginando il capitano Paolo Cannavaro costretto a scegliere altre destinazioni. Benítez non considera minimamente il lato umano, c’è una catena di montaggio ed in Inghilterra la situazione è ben evidente: nella sua autobiografia, Gerrard sostiene che per l’allenatore spagnolo i giocatori sono solo ingranaggi di una macchina e lo descrive come un uomo freddo, autoritario e con derive paranoiche. Nell’Inter fa in tempo a demolire lo spogliatoio inimicandosi gente come Maicon e Materazzi.
Se c’è un’abilità che un tecnico del Real Madrid deve possedere è quella di saper gestire anche psicologicamente una squadra piena di grandi talenti, con tutto il loro bagaglio di narcisismo ed egoismo. Si può essere dei domatori di leoni stile Mourinho o dei grandi equilibratori tipo del Bosque e Ancelotti, ma bisogna avere i giocatori dalla propria parte. In meno di 5 mesi di lavoro con la squadra, Rafa Benítez ha già raccolto un ampio fronte di malcontento. A partire dagli insulti in allenamento per un semplice gol annullato, con Cristiano Ronaldo il rapporto sembra davvero quello tra due professionisti e niente più: e infatti il portoghese ha cominciato a non scartare ipotesi di trasferimento all’estero, anche in modo esplicito, tanto da spingere Florentino Pérez a chiedere spiegazioni.
Le cose non vanno meglio con il nuovo capitano, Sergio Ramos, che già aveva accolto l’allenatore madrileno con freddezza. Da allora la loro relazione non è migliorata: Benítez ha accusato pubblicamente Ramos per un errore contro l’Atlético Madrid e il difensore ha risposto parlando dei cambi sbagliati del suo allenatore.
Anche con Benzema il rapporto è diventato subito difficile: è il giocatore più sostituito del Real nonostante le ottime prestazioni. Alla prevedibile delusione pubblica dell’attaccante francese, Benítez ha risposto suggerendogli di segnare due gol nella partita successiva. In questo momento a tenere banco è l’enigmatico caso di James Rodríguez: una lesione muscolare a inizio settembre in una partita della Nazionale lo ha tenuto fuori dal campo per molto tempo. Benítez ha detto che James non è ancora pronto fisicamente, poi il colombiano ha giocato 90 minuti e segnato con la sua Nazionale, dedicando una frase dura in conferenza stampa all’allenatore del Real.
Insomma, il caos assoluto e l’unica fortuna di Benitez è stata la forma strepitosa di Navas che ha coperto a lungo le difficoltà difensive del Real Madrid e soprattutto sembra aver creato il mito della squadra che difende molto bene. A seguito degli infortuni e del cambio di prospettiva tattica, il Real ha cominciato ad aspettare l’avversario nella propria metà campo riducendo il numero di transizioni veloci e scollegando Ronaldo dal gioco. L’apoteosi nella partita con i marziani (Barcellona) in cui il pallone non risulta pervenuto. Eppure il Real passeggia in Europa ricalcando molti casi illustri, non ultimo quello della Juventus, splendidi in Europa e balbettanti in patria. Persino lo sbandato Chelsea non sfigura nell’Europa che conta.
Il Real tende a non dominare la partita in modo continuativo, ma è molto flessibile tatticamente e sembra sempre avere un piano di gara migliore dell’avversario. Il rendimento però è ancora altalenante: finora l’unica dimostrazione di gioco collettivo, con le fasi di gioco ben coordinate, è stata quella di Parigi contro il PSG. Una partita da vero sacchiano per Benítez: una linea difensiva molto alta che è riuscita a mandare in fuorigioco ben 7 volte i parigini.
La fase offensiva del Real ha per ora avuto un solo punto di riferimento, Cristiano Ronaldo. L’infortunio di Benzema ha costretto il portoghese a giocare da punta centrale del tridente, con risultati poco soddisfacenti: la mancanza di un apriscatole come il centravanti francese gli ha impedito di godere degli spazi che abitualmente sfrutta partendo da sinistra, oltre a slegarlo completamente dalla squadra e a intristirlo in corse solitarie nel vuoto.
Ai “Blancos” sembra mancare una direzione precisa da seguire, un equilibrio definitivo che renda ogni partita un episodio di una serie e non una storia a sé. Gli infortuni in serie forniscono una valida giustificazione, che non può essere eterna.
Sul piano tattico c’è la certezza che Benítez continuerà a dare il massimo, probabilmente risolvendo i vari problemi, ma il vero grande dubbio riguarda la sua capacità di gestire il lavoro calcistico più difficile al mondo: allenare il Real Madrid significa tante cose diverse e non solo studiare bene l’avversario. Anche in questo caso, la sua visione della filosofia dei “Merengues” sembra mancare di sensibilità: non è vero che al Real Madrid la prima regola è vincere. Al Bernabéu bisogna anche e soprattutto convincere, e se l’avesse chiesto al suo mentore Del Bosque, esonerato dopo aver vinto la Liga, ne avrebbe ottenuto un racconto in prima persona.
Benitez non mi è mai piaciuto. Mai!