Caro Mac, “non puoi dire sul serio”

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McEnroe_postLe vacanze, si sa, sono l’occasione buona per dedicarsi con maggior accanimento alla lettura. Sotto l’ombrellone si riescono a scorrere in una sola giornata tante di quelle pagine quante d’inverno in dieci giorni; tutto sta a sparare bene le proprie cartucce, a scegliere, cioè, bei libri. Quest’estate, devo ammetterlo, non sono stato un buon selezionatore: due su tre si sono rivelate letture mediocri, a tratti noiose e banali.

La prima di queste è il titolo di cui sopra, “Non puoi dire sul serio”, l’autobiografia di John McEnroe, un libro che raramente si solleva dalla banalità e che perde malamente il confronto con il bellissimo “Open” di Andre Agassi. L’impressione generale che arriva durante la lettura è che il grande Mac abbia badato innanzitutto al “politically correct” rispetto a rivali, amici, mogli e fidanzate, rimanendo attentissimo a non scoprire altarini e piccoli segreti del backstage del suo mondo. Molti commenti generici e superficiali, spesso su aspetti ben risaputi per chi sa di tennis, non arrivano quasi mai a incidere la superficie patinata di un libro che scivola via rapido, quasi indolore, tra le vittorie, le sconfitte e gli anni che passano.

La giovinezza non ha nulla di particolare, anzi viene sottolineato come fosse chissà quale sacrificio il saliscendi tra metropolitane e bus newyorkesi del giovane Mac, e appare perfino risibile il suo confrontarsi con i problemi di crescita dei suoi numerosi figli spersi all’interno di un modestissimo appartamento di “soli” quattro piani davanti al Central Park. Il racconto dell’11 settembre 2001, a cui pare sia ormai impossibile sfuggire in ogni biografia recente, non ha nulla di particolare, commovente o profondo: Mac stava facendo colazione davanti alla tv, come centinaia di milioni di americani, al momento dello schianto del primo aereo, ma decide di raccontarci comunque quel giorno drammatico dal suo banale punto di vista.

Le parti in cui Mac racconta o analizza le sue celebri bizze caratteriali sono quelle più divertenti e interessanti, anche se, con il passare degli anni e delle sedute di psicoterapia, il racconto si trasforma in un lungo “mea culpa”, in cui il nostro ammette in lungo e in largo il proprio caratteraccio, equiparabile solo a quello di Jimmy Connors, a quanto dice. Viene toccato di striscio il rapporto con il fratello Patrick e con tanti suoi avversari, mentre al contrario occupa decine di pagine la sua passione per il rock che appare, onestamente, il passatempo di un pensionato ricco e famoso che, grazie alla fama raggiunta con il tennis e non certo grazie al suo talento musicale, arriva a salire sul palco assieme a stelle della musica.

A conti fatti la cosa più azzeccata di questo libro appare il titolo: infatti è davvero difficile per me, caro Mac, pensare che tu possa averci raccontato tutto sul serio.

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Gianluca Puzzo

Un commento

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  • Non ho ancora letto il libro del terribile Mac ma concordo nel considerare OPEN di Agassi un gran bel libro. Grazie comunque per la notizia e per il tuo commento
    mai banale.

Gianluca Puzzo

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