Lo scorso 10 giugno, mentre tutto il mondo dell’hockey era lì a chiedersi se San Jose avrebbe rimontato Pittsburgh nelle Stanley Cup Finals, se n’è andato Gordie Howe, una delle più grandi leggende di questo sport. Notizia data in diretta durante gara 4, ma che abbiamo volontariamente tenuto da parte per celebrare come merita “Mr. Hockey”.
Howe non è stato il più forte di tutti, siamo d’accordo con Hockey News che nel ’98 lo collocava al terzo posto all-time dopo Gretzky e Orr, ma gli andrà sempre riconosciuto il merito di essere stato il primo nella storia ad “alzare l’asticella” del livello tecnico e fisico richiesto dall’hockey su ghiaccio di vertice. Il primo di una categoria di giocatori oggi ricercatissima (e strapagata), cioè i giocatori completi, a tutto campo, i cosiddetti “200-foot game players”, quelli capaci di avere grandi numeri offensivi e, al tempo stesso, per nulla restii al gioco fisico, alle durezze della difesa, alle lotte in balaustra per il recupero del puck. Per capirci, gente come Sidney Crosby, Jonathan Toews, Pavel Datsyuk e Logan Couture, per limitarci ai contemporanei, giocatori con la G maiuscola, con una marcia in più.
Gordon Howe, detto Gordie, nasce in Canada, a Floral, il 31 marzo 1928. A otto anni inizia a giocare a hockey ma già a nove è costretto a lasciare la scuola: la Grande Depressione porta conseguenze pesanti e deve contribuire alla famiglia lavorando in un cantiere. A sedici lascerà Saskatoon per seguire il suo talento nel gioco: viene notato in un camp dagli scout dei Detroit Red Wings, che lo mettono sotto contratto e lo spediscono in una lega minore, la USHL, dove segnerà 48 punti in 51 partite con la maglia degli Omaha Knights. L’esordio nella NHL arriva a 18 anni: Howe trascorrerà quasi tutta la sua lunghissima carriera NHL con la maglia dei Detroit Red Wings, dall’esordio del 1946 fino al 1971, guidandoli alla conquista di quattro Stanley Cup (1950, ’52, ’54 e ’55) e al primo posto in regular season per sette anni consecutivi (dal ’49 al ’56). Ala destra ambidestra dotata di grande senso del gol (sarà tra i primi dieci cannonieri per 21 stagioni consecutive!) e ottima visione di gioco, Howe diventerà celebre anche per la sua instancabile aggressività difensiva, caratteristica che farà nascere la battuta della “tripletta di Howe”, cioè un gol, un assist e una rissa!
Howe detiene il record delle partite giocate in NHL (1.767) e delle stagioni (26), oltre ai tre record più importanti in regular season per il suo ruolo: maggior numero di gol (801), assist (1.049) e punti totali (la somma di gol e assist, 1.850). Al momento del ritiro detiene molti altri record assoluti, poi cancellati negli anni Ottanta da Wayne Gretzky. Straordinaria anche la lista dei riconoscimenti personali: convocato ben 23 volte per l’All Star Game, gli verrà assegnato per 6 volte il premio di miglior realizzatore (1951, ’52, ’53, ’54, ’57 e ’63) ed altrettante quello di miglior giocatore stagionale (1952, ’53, ’57, ’58, ’60 e ’63). Ritiratosi dalla NHL al termine della stagione 1970-71 per problemi ad un polso, Howe viene inserito già l’anno seguente nella Hall of Fame e ottiene un ruolo dirigenziale nell’organizzazione dei Red Wings; dopo soli due anni lo abbandonerà per tornare in campo, stavolta nella lega concorrente WHA, con gli Houston Aeros, scendendo in campo al fianco dei figli Mark (grande difensore, 16 stagioni in NHL) e Marty. Rimane nella WHA fino al ’79, anno del suo scioglimento, superando i 100 punti in due stagioni; torna infine nella NHL per disputare un’ultima stagione (80 gare con 15 gol e 26 assist) con gli Hartford Whalers, a 52 anni d’età, conquistando ancora un’ultima convocazione per l’All Star Game. Howe vedrà ritirato il suo numero 9 sia dai Red Wings che dai successori degli Whalers, i Carolina Hurricanes.
Insignito di ogni tipo di onore dal Canada, a Howe è intitolato dal 2007 uno degli ingressi della Joe Louis Arena di Detroit, dove è collocata una statua che lo raffigura e sui cui sono scolpiti tutti i numeri della sua stupefacente carriera. Colpito dal morbo di Alzheimer, diraderà sempre più le sue apparizioni pubbliche, specialmente dopo la scomparsa nel 2009 dell’amatissima moglie Colleen, sposata nel 1953. Fino al fatidico 10 giugno 2016.
Bello. Giusto e meritato tributo a un grande.