Nella classifica annuale dei 20 club calcistici europei più ricchi, spicca la doppietta spagnola in vetta, Real e Barça, e la grande presenza della Premiership.
Ma si allarga la forbice tra le prime e tutte le altre.

È servita la 22ma edizione della prestigiosa Deloitte Football Money League per far arrivare anche ai più distratti la notizia di un calcio italiano, Juventus esclusa, che annaspa finanziariamente nelle retrovie e di una forbice tra prime della classe e tutte le altre che continua ad allargarsi pericolosamente. Pericolosamente? Sì, pericolosamente, perché se il nostro scudetto finisce da otto anni sulla stessa maglia, se la coppa dalle grandi orecchie è da tre anni nella stessa bacheca e se il titolo francese prenderà la strada di Parigi per il sesto anno su sette (tanto per citare gli esempi più veloci), allora c’è qualcosa che non va.
Nella redistribuzione delle risorse, innanzitutto, con i ricchi che diventano sempre più ricchi e tutti gli altri costretti a combattere fin dall’inizio per le briciole, sapendo di non poter andare oltre un onorevole piazzamento (nel migliore dei casi). Curioso che la UEFA si sia accorta solo ora di quanto siano scontati i gironi di Champions League, ma ancor più curioso che si pensi di intervenire sulla formula e non sui dividendi, un po’ come guardare il dito anziché la luna. Deloitte ci dice, numeri alla mano, che i primi 20 club calcistici europei hanno aumentato del 6% in un solo anno (un’enormità) i loro ricavi, toccando quota 8,3 miliardi di euro al termine della scorsa stagione.


I tre club più ricchi, Real Madrid (fatturato annuo di 751 milioni di euro), Barcellona (691) e Manchester United (666), da soli, hanno generato ricavi per 2,1 miliardi di euro, ovvero più del doppio dei primi tre club di dieci anni fa, che erano poi gli stessi tre club ma rimescolati (Manchester, Barcellona, Real). Una crescita impressionante, da parte di chi già era forte, che ovviamente non trova riscontri se si scende nella classifica, dominata dalle squadre inglesi, con sei squadre tra le prime dieci ed altre che, pur essendo considerate “minori” a livello tecnico e di risultati, vantano una disponibilità economica notevole (Everton, West Ham, Newcastle). L’Italia, come detto, arranca, con la Juventus che esce dalle prime 10 (ma certamente rientrerà l’anno prossimo trainata dagli indotti dell’affare Ronaldo) pur avendo un
fatturato di 395 milioni. L’Inter, tredicesima, è ben distante, 280, e più indietro ancora sono Roma (250 milioni, anche grazie alla semifinale del 2018), Milan (207) e Napoli, che esce dalle prime venti società. Tanto per ragionare sui valori che si affrontano in campo, val la pena sottolineare come il Milan, quindi, possa spendere la metà dei soldi della Juve, che a sua volta ha poco meno della metà dei soldi da spendere del Real. Senza un intervento serio, radicale, sul sistema di redistribuzione delle risorse (economiche e tecniche), sarà impossibile invertire questa tendenza all’oligarchia sportiva. Con buona pace dei tifosi, destinati a morir di noia (anche quelli vincenti, alla lunga) o a rodersi il fegato continuando a chiedersi come mai la loro squadra del cuore ceda ad ogni estate i pezzi migliori.