Evoluzione degli pneumatici di F1

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“Ha messo la bianca…la rossa…la gialla…”, sono spesso frasi che nelle dirette televisive proiettano verso gli scenari di un Gran Premio. Ma quanto è cambiata l’importanza di un pneumatico nella storia della F1?

Confronto tra l’attuale pneumatico (sinistra) con quello che vedremo dal 2022 (destra)

È indiscusso come oggi uno pneumatico di Formula 1 sia parte integrante della stessa monoposto, è altrettanto certo che il fattore della gomma in tempi recenti abbia assunto un maggiore peso specifico all’interno del risultato finale di una vettura, il cui livello estremo di competizione impone ai progettisti che disegnano il mezzo, non solo una correlazione tra le varie parti meccaniche, motoristiche ed aerodinamiche, ma un legame diretto con l’efficienza delle gomme.
Parlando di marche ed evoluzione, la casa italiana Pirelli (oggi fornitrice unica della F1) nel 1951 introdusse l’innovativo Cinturato sull’Alfa 159 di Juan Manuel Fangio, caratterizzato dalla cintura radiale che avvolgeva la carcassa realizzata in fibra tessile, poi evoluta in materiale metallico.
Col passare degli anni e l’aumento delle prestazioni si allargò progressivamente il battistrada, arrivando ai Tubeless con la novità di non avere la camera d’aria interna.
All’inizio degli anni ’70 si guardò ai primi principi di aerodinamica e, crescendo le sollecitazioni, i progettisti adeguarono gli pneumatici anche per questioni di sicurezza con la crescita della sezione di gomma mantenendo il battistrada scolpito, mutato in una superficie slick nel campionato 1971 con composti studiati prettamente per la corsa, tesi a migliorare l’aderenza sull’asfalto.
Il percorso evolutivo non fu semplice, un esempio è quello della Lotus 56B dotata di una turbina di provenienza aeronautica, tale da stressare talmente tanto le gomme che quelle anteriori soffrivano di un consumo esponenziale.
La seconda metà di quel decennio è caratterizzata da importanti rivoluzioni come le monoposto ad effetto suolo, che attraverso la minigonne aumentava la pressione verso il basso, facendo soffrire e non poco gli pneumatici mutati con tipologia radiale caratterizzato da una maggiore rigidità con una fascia in materiale metallico.
Arriviamo agli anni ’80 con la Pirelli che introduce una tecnologia a dir poco innovativa, producendo una gomma bi-mescola, caratterizzata dalla mescola dura nella parte centrale della sezione e da quella morbida lungo la superficie laterale del battistrada; i problemi di trazione manifestati in qualifica vennero risolti grazie ad uno strato più morbido che rivestiva superficialmente tutta la gomma, per sfruttare al meglio le diverse potenze dei motori turbo.
Con un salto fino ai giorni nostri, nel 1998 la superficie della gomma venne modificata con scanalature per limitare la velocità delle monoposto, avendo minore aderenza rispetto a quelle lisce successivamente reintrodotte nel 2009.
Non sono mancati nel corso della storia episodi clamorosi, tra tutti il Gran Premio degli Stati Uniti corso a Indianapolis nel 2005.

In una sessione di prove Ralf Schumacher con la sua Toyota andò a sbattere, dopo successivi controlli si ritenne pericoloso affrontare la gara per l’affidabilità di quegli pneumatici e gran parte delle monoposto sulla griglia (in quegli anni la fornitura non era monomarca) durante il giro di formazione rientrarono ai box per ritirarsi, davanti al pubblico imbestialito per aver pagato il biglietto e veder gareggiare solamente sei monoposto.
Oggi la gomma è diventata parte integrante della monoposto, con i team dotati di termocoperte per portare le gomme nella perfetta temperatura, insieme al dettagliato studio delle temperature dell’asfalto e delle sue variazioni durante il weekend. Sono diverse le mescole da asciutto che la federazione sceglie a secondo delle caratteristiche del tracciato, insieme a quelle da pioggia più comunemente definite full-wet (bagnato estremo) e intermedie, differenti per profondità e numero delle scanalature.
Inoltre il numero di set a disposizione è diventato parte integrante della strategia del team e di un pilota, secondo il comportamento della macchina in precisi settori; addirittura la Mercedes nel 2020 ha portato il DAS (ormai bandito), dispositivo che tramite il volante permetteva di modificare la convergenza delle gomme per scaldarle.
Un esempio pratico di quanto sia attualmente importante l’aderenza in pista è andato in scena nel Gran Premio di Turchia corso lo scorso novembre, con tutti i piloti a lamentarsi per i problemi causati dalla posa del nuovo asfalto e la concomitante scelta di mescole tra le più dure di quelle a disposizione.
Bellissime poi le qualifiche e la gara con la pioggia ad incrementare le difficoltà, ma lo sarebbero state di meno in caso di campionato equilibrato fino all’ultima gara, come invece non è avvenuto.
Oggi abbiamo imparato termini quali graining e blistering relativi al consumo/degrado della gomma, sicuramente appare insolito agli spettatori della vecchia guardia sentire durante le telecronache ad un pit-stop: “Mette la gialla…la media…la bianca”.
Tutte informazioni utili ad indicare in maniera diretta il tipo di mescola caratterizzata dalla colorazione della banda laterale, e di conseguenza indurre lo spettatore al coinvolgimento delle successive fasi, a dimostrazione di quanto lavoro ci sia dietro la prestazione del pilota in pista.
Queste le aziende che hanno contribuito alla F1 con i loro pneumatici: Avon (1954, 1956-59, 1981-82), Bridgestone (1976-77, 1997-2010), Continental (1954-55, 1958), Dunlop (1950-70, 1976-77), Englebert (1950-58), Firestone (1950-60, 1966-75), Goodyear (1964-88), Michelin (1977-84, 2001-06), Pirelli (1950-58, 1981-86, 1989-91, 2011-oggi).
Ma in F1 tutto corre, oggi è già domani, e dal 2022 si passerà a pneumatici da 18” e saranno vietate le termocoperte.

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Andrea La Rosa

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