Il paese arranca e il destino lo sgambetta: a metà novembre il Po inonda il Polesine, mandando sott’acqua un’Italietta poverissima e desolata. Il 1951 è un anno duro anche per Coppi, per una delle moltissime fratture che lo perseguiteranno per tutta la carriera, ma soprattutto per la morte di Serse, suo fratello e fidato gregario, a causa di una caduta al Giro del Piemonte. Il fragile carattere di Fausto accusa il colpo, il campione è addirittura sul punto di smettere, ma il suo amore per la bicicletta ha la meglio, e il tempo gli darà ragione. Infatti, quasi a volerlo consolare del dolore sofferto, il destino gli regalerà un 1952 straordinario: vincerà con facilità irridente e distacchi enormi sia il Giro d’Italia che il Tour de France, ripetendo quella storica accoppiata che già gli era riuscita nel ’49 e che mai nessuno prima aveva realizzato.
Nel ’53 Coppi deve iniziare a selezionare i propri obiettivi, perché i suoi 34 anni cominciano a pesargli. Il Giro è uno di questi, poiché Fausto è in cerca della cinquina per eguagliare Alfredo Binda: “all’ottava tappa, la Grosseto-Follonica a cronometro, – racconta Guido Vergani – Koblet conquista la maglia rosa. Coppi non gliela strappa neppure nella Auronzo-Bolzano: raggiunge Koblet in fuga, lo stacca, ma si fa riagguantare nella lunga discesa verso Bolzano. Ostentatamente, Koblet gli lascia quel traguardo. E’ un evidente baratto. Quella vittoria contro la promessa di non dare battaglia all’indomani, quando il Giro, per la prima volta nella sua storia, va verso i 3000 metri dello Stelvio. Fausto ha promesso, è rassegnato. Ha un distacco di quasi due minuti. Quella sera, a Bolzano, Koblet è sicuro di avere in tasca il suo secondo Giro d’Italia”. Ma sui tornanti dello Stelvio, l’indomani, è l’italiano De Filippis a fornire a Coppi l’alibi per l’attacco, scattando per primo e costringendo Fausto a “difendere il secondo posto”, come racconta lo stesso De Filippis: “Fausto, nella bagarre, era, per così dire, autorizzato a difendersi. Un breve alzarsi sui pedali e mi ha sorpassato che sembrava una motocicletta. Due, tre rampe ed eravamo già tutti a un minuto”. Fausto incamera così, con l’ennesima fuga solitaria e vittoriosa, il suo quinto Giro d’Italia, ma c’è dell’altro.
A un tornante dello Stelvio, malgrado lo sforzo gli stesse annebbiando la vista, Coppi ha notato una donna: si tratta della signora Giulia Occhini in Locatelli, conosciuta qualche anno prima tramite il marito, medico di provincia e coppiano convinto. Al velodromo Vigorelli di Milano, arrivo del Giro ’53, Giulia è in tribuna, come racconta lei stessa: “gridai. Fausto, in quel temporale di urla, distinse la mia voce. Mi vide e cominciò a salire verso il bordo alto della pista. C’era anche il dottor Locatelli. Fausto raggiunse la rete, mi diede la mano. Sentii che nel palmo m’era rimasto qualcosa, un biglietto… «Domani alle quattro alla stazione di Tortona»”.
Inizia così uno degli amori più tormentati e discussi della storia italiana, tra due persone entrambe sposate e con figli, in un’epoca in cui ancora non esisteva il divorzio, in un’Italia “pettegola e bacchettona, vogliosa di buchi della serratura, di ficcare il naso nei fatti altrui”, come la definisce Guido Vergani. Una grande ondata di falso moralismo e di scandalo investe quasi subito i due amanti, anche perché Giulia non fa niente per tenere nascosta la storia. “Lo scandalo fu grande – scrive Gianni Brera – perché l’eroe sportivo, nella fantasia collettiva, deve essere preservato dal «diavolo», la donna, che lo può dissugare. Fu grande lo scandalo perché il nostro è uno strano paese di conformisti e di falsoni. Siamo tutti figli di preti e di soldati di ventura”.
La vicenda sportiva di Coppi è ormai quasi agli sgoccioli, pur tra grandiose fiammate, ma nel 1953 Fausto aggiunge ai suoi trofei anche l’unico che ancora gli mancava: la maglia di campione del mondo su strada, vinta a Lugano. “Fra i burocrati del ciclismo schierati per i riti della vittoria non c’è la solita, anonima miss con il mazzo di gladioli. Giulia Occhini ha preso possesso del podio, quasi a rendere pubblici sentimenti, adulterio e romanzo rosa. Ma pubblici, per ora, non diventano, anche se foto e filmati ormai documentano il mutamento di un destino, l’irrompere della passione in un’esistenza ragioneresca, dietetica, equilibratissima, tutta corse e tinello borghese, con Bruna, la moglie, sin troppo casalinga, sempre accigliata in una sospettosa riservatezza, incapace di stare in scena e, di contro, quest’altra, non meno piccolo borghese di lei ma erinnica, determinata, coraggiosamente vogliosa di bella vita e di notorietà”.
L’ambiente ciclistico fa finta di non sapere, e se sa tace. Niente trapela fino al 6 giugno 1954, quindicesima tappa del Giro d’Italia, Gardone-Riva del Garda a cronometro, in cui Giulia prende pubblico possesso della vita di Fausto seguendolo in auto per tutti i 42 chilometri di gara. Erano iniziati i giorni amari: “Da Novi Ligure arrivò Bruna Coppi, – racconta sempre Brera – videro i due coniugi pranzare taciturni. La signora Bruna partì immusonita e pallida”. Il giorno dopo, i corridori arrivano a Saint-Moritz: “li ha preceduti Giulia Occhini. Indossa un montgomery bianco, sta sulla linea del traguardo, bacia e ribacia Fausto tra infiniti flash. Un giornalista francese, Pierre Chany, scrive di una «dame en blanc». E’ l’innesco dello scandalo, Giulia diventa la Dama Bianca”.
Coppi non ha mai detto apertamente la sua su questo precipitare degli eventi, se ha accettato lo scandalo per amore o se vi è stato costretto quando si è visto arrivare Giulia con le valigie, scappata o cacciata di casa; su questo punto abbiamo solo le parole da romanzo rosa di Giulia, sempre generosa di interviste. Certo è che Fausto passa dei mesi d’inferno: “Coppi era un chiuso, un timido, non avrebbe mai detto una parola di accusa per la signora Bruna, moglie e madre esemplare, non avrebbe cercato scusanti o alibi. Si sarebbe chiuso nel silenzio. Accettò il peso e le responsabilità di quello che fu il suo «errore» e anche le necessità penose e crudeli, con una dura capacità di sacrificio”.
Molti italiani gli danno addosso con cinica crudeltà, alla quale Coppi non può e non vuole sottrarsi: “Io l’ho sentito, – scrive Brera – per mesi e mesi, lungamente, duramente, atrocemente fischiato dalla folla, quella stessa folla da cui, fino a poche settimane prima, uscivano i fanatici che baciavano la sua bicicletta infangata. Qualunque altro mestiere avrebbe permesso all’adultero di continuare nel suo lavoro, nell’ombra di un ufficio, ma il ciclismo è strada, il ciclismo è un’implacabile condanna alla ribalta degli entusiasmi e degli odi più opposti. Bisogna riconoscere a Coppi che egli passò un terribile processo quotidiano, a gambe nude”.
Attizzata da questa vicenda, scoppia l’era del rotocalco e così, in un’Italia che normalmente legge pochi giornali e pochissimi libri, i settimanali si ritrovano a vendere due, tre milioni di copie a uscita, e in breve anche i quotidiani, fiutato l’affare, si gettano a capofitto su “l’affaire-Coppi”. I due amanti sono costretti a vivere fuggendo, dalle furie del dottor Locatelli e dai carabinieri, a causa della denuncia per adulterio e abbandono del tetto coniugale a causa della quale Giulia Occhini rischia il carcere. “Quando decidono di finirla con quelle migrazioni, – racconta Brera – lo fanno ancora all’insegna della platealità. Fausto compra Villa Carla, sulla strada che da Novi Ligure porta a Serravalle. E’ una beffa, quasi un pernacchio a Bruna, che vive a poche centinaia di metri e che, fra i protagonisti di questa italianissima e un po’ strapaesana vicenda, mantiene comunque una sua immusonita e triste dignità”.
Comunque, al di là del moralismo, tutti quelli vicini a Coppi, dai tifosi ai giornalisti fino ai ciclisti, odiano “quella là”, come la chiama il cieco Cavanna, scopritore e consigliere di Fausto: i tifosi la odiano perché immaginano notti troppo passionali che finiscono per fiaccare il loro campione, i giornalisti la odiano perché ha trasformato il ciclismo in un rotocalco rosa, i ciclisti, infine, la odiano perché la sua presenza finisce per rubare i titoli dei giornali a qualsiasi loro impresa sportiva.
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I tifosi non riescono mai a dividere la sfera agonistica da quella personale.
E’ una condizione aberrante ma è sempre stato così. Neanche un campionissimo come Coppi è sfuggito a questa regola, come se le sue imprese sportive non fossero abbastanza grandi da essere tenute a debita distanza dalla sua vita personale. Complimenti per la “cronaca” quasi descrittiva dei fatti e del perbenismo dell’epoca. Molti particolari li hai tirati fuori dalla nebbia inevitabile del trascorrere del tempo. Sperando se ne faccia buon uso. Ciao.