Gente da Superbowl 4: la leggenda immortale di Vince Lombardi

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Vince-lombardi-1“Se puoi accettare la sconfitta, allora non potrai vincere”.
“Il miglior talento non è quello di non cadere mai, ma di risollevarsi dopo essere caduti”.
“Gli uomini che sanno lavorare fianco a fianco vinceranno, che sia contro una difesa di football o sui problemi della società moderna”.
“L’unico posto in cui il successo viene prima del lavoro (“work” in inglese, ndt) è sul vocabolario”.
“L’eccellenza si raggiunge con la perfetta padronanza dei fondamentali”.
“La perfezione è irraggiungibile, ma se inseguiamo la perfezione raggiungeremo l’eccellenza”.
“Vincere non è la cosa più importante, è l’unica cosa”.
“Credo fermamente che l’ora più bella di ogni uomo, la più grande realizzazione di ciò che è a lui più caro, sia quel momento in cui egli ha dato tutto per una buona causa e giace esausto sul campo di battaglia. Vittorioso”.

Ci si potrebbe riempire un post intero con le frasi celebri di Vince Lombardi, leggendario coach dei Green Bay Packers a cui è intitolato il trofeo che ogni anno viene assegnato alla squadra vincitrice del Superbowl. Un uomo tutto d’un pezzo, forgiato su valori antichi, letteralmente “invasato” per il football, a cui dedicò ogni stilla di energia nel corso della sua (troppo breve) vita. Un coach maniacale e al tempo stesso innovativo, tanto brutale negli allenamenti quanto paterno con i suoi giocatori, perfino rivoluzionario nella sua accettazione e protezione di giocatori di colore o dichiaratamente omosessuali nelle sue squadre, in tempi in cui il football (così come gran parte dell’America) sprangava ancora le sue porte a “negri” e “deviati”, nelle definizioni più comuni dell’epoca. Il metodo di valutazione che Lombardi aveva degli uomini ai suoi ordini era uno e uno solo: la volontà ferrea e incrollabile verso la vittoria finale, unita alla forza per affrontare tutto il durissimo lavoro necessario allo scopo. Che fosse sul campo o dietro una scrivania non faceva differenza, così come non avevano nessun valore per lui il colore della pelle, la fede o l’orientamento sessuale. Un approccio integralista allo sport e alla vita, definito spesso “maniacale” dai suoi detrattori, ma che ha creato un’intera generazione di giocatori forgiati ai suoi principi e perennemente grati al loro mentore, ben oltre il giorno della sua scomparsa.

Vincent Thomas Lombardi nasce a New York, nel quartiere di Brooklyn, nel 1913, primo dei cinque figli avuti da Enrico Lombardi e Matilde Izzo, immigrati italiani provenienti rispettivamente da Salerno e da Vietri di Potenza, in Basilicata. Assiduo praticante cattolico fin da ragazzo, Vince scopre il football al liceo e lo pratica come uomo di linea difensiva fino agli anni alla Fordham University, quando sarà costretto a smettere per seri problemi a un occhio. Laureatosi nel ’37, due anni dopo riceve il primo incarico come assistant coach in un liceo cattolico del New Jersey, il St. Cecilia; tre anni più tardi diventa capo allenatore, ricoprendo il ruolo per ulteriori cinque stagioni. Nel 1947 torna alla Fordham come coach ma vi resta solo un anno, visto che nel ’48 accetta l’incarico di allenatore della linea offensiva della squadra dell’Accademia dell’Esercito a West Point, agli ordini del leggendario coach Earl Blaik. Rimarrà lì per cinque anni, vivendo un periodo che influenzerà profondamente il suo modo di allenare: dalle massacranti sedute di allenamento all’intransigente rapporto con i giocatori, dalle innovazioni tattiche (è il primo a introdurre i bloccaggi a zona sulla linea di scrimmage) fino alla celebre filosofia di rifiuto sistematico della sconfitta. Lombardi approda nella NFL nel 1954 come offensive coordinator dei New York Giants agli ordini di Jim Lee Howell: in due soli anni prenderanno una squadra dal record di 3-9 e la porteranno al titolo del 1956, vinto 47-7 in finale sui Chicago Bears.

Alla vigilia della stagione 1958, Vince Lombardi riceve la proposta di diventare head coach dei Green Bay Packers. L’idea, sulla carta, non è delle più allettanti: i Packers hanno concluso la loro peggior stagione di sempre, con una sola vittoria e un pareggio a fronte di dieci sconfitte. I giocatori di un certo valore sono sul punto di abbandonare la squadra, gli investitori latitano e l’intera comunità del Wisconsin inizia a temere la chiusura della franchigia. Nessuno al mondo, in quel 2 febbraio 1959, può immaginare che, firmando il contratto con i Packers, Lombardi stia gettando le basi di una delle squadre più vincenti dell’intera storia del football. I metodi del nuovo coach danno subito i loro frutti: il record diventa subito positivo (7-5) e Lombardi, pur essendo un capo allenatore esordiente, vince il premio come coach dell’anno. I tifosi s’innamorano subito del suo stile di gioco e iniziano a riempire costantemente il Lambeau Field: da allora fino ad oggi (più di 300 partite) tutte le gare casalinghe dei Packers saranno sempre sold out, un record incredibile e il sogno di qualsiasi squadra!

Dal 1960 al ’66 i Packers di Lombardi saranno senza rivali, aggiudicandosi i titoli NFL del 1961, ’62, ’65, ’66 e ’67, gli ultimi due vinti nei primi Superbowl della storia, 35-10 sui Kansas City Chiefs a Los Angeles il 15 gennaio 1967, e 33-14 sugli Oakland Raiders a Miami il 14 gennaio 1968. Una cavalcata memorabile che consegnerà Lombardi e ben cinque giocatori di quella squadra alla Hall of Fame.
Dopo il quinto titolo, Lombardi cede la posizione di head coach a un suo assistente di lungo corso, Phil Bengston, passando al ruolo di general manager, ma la nuova gerarchia non funziona: Lombardi sente ben presto di stare stretto dietro una scrivania e Bengston è schiacciato dalla pesantissima ombra del suo predecessore. I Packers campioni in carica vincono solo sei partite su quattordici nel 1968 e non si qualificano neppure per i playoff. Al termine della stagione Lombardi accetta la chiamata dei Washington Redskins, che gli offrono il doppio ruolo di head coach e general manager. Lombardi li condurrà subito alla loro prima stagione con record positivo (7-5-2) dopo 14 anni.

Tutto viene però interrotto dalla malattia. Nel giugno 1970 i medici del Georgetown University Hospital diagnosticano a Lombardi un tumore al colon, che si rivelerà essere in stato molto avanzato dopo un intervento nel mese seguente. Lombardi morirà in dieci settimane, il 3 settembre, a soli 57 anni. Ai suoi funerali, il 7 settembre, parteciperanno oltre duemila persone, che paralizzeranno Manhattan; Lombardi verrà seppellito a Middletown Township, nel New Jersey.

L’anno seguente il suo nome è già ammesso alla Hall of Fame, in virtù dei titoli conquistati, dell’innovazione apportata al gioco e dei suoi numeri straordinari: 96 vittorie, 34 sconfitte e 6 pareggi in regular season, 9 vittorie e una sola sconfitta nei playoff. Subito dopo la sua morte gli viene intitolato il trofeo simbolo della vittoria del campionato NFL.

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Gianluca Puzzo

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