Il Superbowl che è stato e quello che sarà

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Vince-Lombardi-Trophy_postTra 48 ore andrà in scena il Superbowl, la finale del campionato NFL che assegna con una partita unica il Vince Lombardi Trophy (nella foto), il trofeo intitolato al leggendario allenatore dei Green Bay Packers, vincitore dei primi due Superbowl della storia (e di altri tre titoli prima della sua introduzione). Denver Broncos e Seattle Seahawks si affronteranno in campo neutro, al MetLife Stadium, nel New Jersey, casa dei Giants e dei Jets.

La prima edizione del Superbowl si tiene il 15 gennaio 1967 e ha un duplice valore: quello di atto conclusivo della stagione 1966 e di suggello dell’imminente fusione tra le due principali leghe dell’epoca, la NFL e la AFL (American Football League). L’idea è quella di assegnare una sorta di titolo unico assoluto, denominato infatti “World Championship of Professional Football”, tramite lo scontro diretto tra le due vincitrici di lega. Il Superbowl prenderà la conformazione attuale tre anni più tardi, nel 1970, con il definitivo assorbimento della AFL nella NFL, trasformandosi nella finale tra le vincitrici delle due conference in cui è diviso il campionato, la AFC e la NFC, e divenendo in breve tempo l’evento sportivo annuale più seguito del Nord America e secondo al mondo, scavalcato in tempi recenti solo dalla finale della Champions League di calcio. Il Superbowl ha inoltre la particolarità di essere identificato in numeri romani (quello di domenica sarà il 45°, quindi XLV) e non con l’anno in cui si disputa, per ovviare alla confusione che deriverebbe  dal fatto che questa partita si disputa sempre l’anno seguente rispetto al campionato di cui è la finale.

Il record di Superbowl vinti è dei Pittsburgh Steelers, a quota 6, seguiti a una lunghezza da Dallas Cowboys e San Francisco 49ers; tra le due contendenti di domenica, i Broncos vantano due vittorie (frutto dell’era-Elway), mentre gli ‘Hawks non hanno in bacheca nessun titolo e una sola, sfortunata partecipazione, cinque anni fa, quando furono sconfitti dagli Steelers dopo una partita a lungo dominata. E’ curioso notare come quello di domenica sarà il primo Superbowl della storia giocato nell’area di New York: la Grande Mela era sempre stata accantonata, in passato, a causa delle condizioni climatiche molto rigide presenti in questo periodo dell’anno, ma stavolta la NFL ha deciso di incrociare le dita e sperare di non giocare sotto la neve. Il Met Life Stadium, infatti, ha l’erba sintetica e il sottofondo riscaldato, ma è completamente scoperto; fortuna ha voluto che entrambe le squadre qualificatesi provengano da climi ancor più rigidi e che siano quindi abituate a giocare in condizioni climatiche estreme.

Dal punto di vista del costume, la domenica del Superbowl è, di fatto, una sorta di festa nazionale statunitense, una giornata in cui ci si riunisce in famiglia e con gli amici per vedere la partita e, ovviamente, mangiare a dismisura. Come consumo di cibo, la domenica del Superbowl è seconda, negli USA, solo al Giorno del Ringraziamento, ma il menù dei due eventi è completamente diverso, visto che gli “alimenti da Superbowl” devono poter essere mangiati sul divano e davanti alla tv. Via quindi il tacchino ripieno, troppo complicato da tagliare e mangiare con gli occhi incollati alla partita, e ampio spazio alla cucina tex-mex, alle ali di pollo fritte, ai nachos nel guacamole; il tutto da mandare giù, ovviamente, con fiumi di birra e di bevande gassate. Ma il Superbowl è anche l’apoteosi della pubblicità: uno spot di 30″ durante la partita costa dai 3 ai 4 milioni di dollari (dipende dalla collocazione) e i brand che si accaparrano quegli spazi tendono quindi a creare degli spot specifici per l’evento, spesso interpretati da grandi star del cinema, consci del fatto di avere l’occasione di raggiungere una platea di circa 150 milioni di potenziali clienti.

In tutto questo delirio dello show-biz il fatto sportivo rischia di passare in secondo piano, alla fine conta solo chi vincerà. E quindi la domanda cruciale è: chi vincerà tra Denver e Seattle? Ridurre la partita allo scontro tra il miglior attacco (Denver) e la miglior difesa (Seattle) del campionato, significa rimanere troppo in superficie. Se la questione fosse limitata a questo, bisognerebbe solo scegliere se fidarsi o no del motto secondo cui “l’attacco fa vendere i biglietti,  ma la difesa fa vincere i campionati”. In realtà, c’è soprattutto la sfida tra due generazioni di quarterback, una al tramonto l’altra all’alba, Manning contro Wilson: avrà più voglia il vecchio Peyton di riconfermarsi o il giovane Russell di arrivare subito in cima? C’è poi la guerra tra le linee: quella difensiva di Denver avrà l’imperativo di limitare le corse di Lynch, quella offensiva di evitare a Manning pericolosi e dolorosi placcaggi. Opposti, naturalmente, gli obiettivi delle linee degli ‘Hawks, che in difesa dovranno tenere Manning sotto le 300 yard e in attacco dovranno alternare sapientemente corse e passaggi, cercando di non dare troppe certezze ai marcatori avversari. Infine, c’è la sfida tra due coach navigati, espertissimi: John Fox e Pete Carroll, che si conoscono bene e che sanno come preparare tatticamente una partita del genere. Sarà una bella partita, equilibrata fino all’ultimo quarto, di questo sono certo. Ma di vincitore, si sa, lo sport ne ammette solo uno e allora penso che, ancora per una sera, la vecchia generazione saprà spuntarla, e dico Denver. Che con l’età io stia diventando un conservatore sportivo?

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Gianluca Puzzo

Un commento

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  • NY è già pronta. Gli Stati Uniti sono pronti all’evento tanto atteso. Oltre 110 milioni di americani non si perderanno un solo istante della partita dell’anno.
    Noi, invece, aspettiamo il commento. E sarà come assistere dal vivo..

Gianluca Puzzo

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