Karch Kiraly – Il testo della puntata di Sport One su RadioGoal24

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Kiraly_postPubblichiamo il testo integrale della quarta puntata di Sport One andata in onda su RadioGoal24.

Karch Kiraly
Dal parquet alla sabbia, una leggenda lunga quarant’anni

Chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di veder giocare dal vivo Karch Kiraly può dire di aver visto tutti i fondamentali della pallavolo e i valori dello sport incarnati al meglio in un unico atleta. Tenace, ferocemente competitivo eppure correttissimo in campo e fuori, Kiraly era dotato di una tecnica ben oltre la perfezione nei fondamentali di seconda linea, ricezione e difesa, dov’era in grado di tenere in gioco dei palloni impossibili per chiunque altro al mondo. In attacco, compensava la non eccelsa statura (un metro e 88) con una sensazionale capacità di salto (105 centimetri da fermo) e, nella schiacciata, con una grande sensibilità nel tocco del pallone, quella che ha reso Kiraly il re del block-out, il mani e fuori con il muro avversario. Nel salto a muro, era impressionante vederlo raccogliersi in squat fino a toccare il pavimento con le dita, prima di esplodere in salto.
In un’epoca in cui nella pallavolo indoor non era ancora stata inventata la figura del libero e le partite, complice il cambio palla, arrivavano spesso a toccare le tre ore, Kiraly, grazie alle sue doti naturali e alla maniacale preparazione fisica, era in grado di mantenere una velocità di crociera, per così dire, un rendimento costante per tutta la gara, senza accusare passaggi a vuoto, alzando anzi ulteriormente il proprio grado di prontezza in occasione dei momenti decisivi di ogni set.
Ecco, prendete tutto questo e, per avere un’esatta idea di Karch Kiraly, moltiplicatelo per due: pallavolo indoor e beach volley. Lo statunitense, infatti, è l’unico atleta al mondo, donne comprese, ad aver vinto la medaglia d’oro olimpica sia nell’indoor, due volte, che sulla sabbia, specialità nella quale è il giocatore più vincente di tutti i tempi. Benvenuti nella storia di Karch Kiraly, quindi, benvenuti nella leggenda del vincente per eccellenza.

Charles Frederick, detto Karch, Kiraly nasce il 3 novembre 1960 a Jackson, nel Michigan, da genitori ungheresi emigrati negli Stati Uniti durante la rivoluzione magiara del ‘56. La famiglia si sposta ben presto in California, a Santa Barbara, ed è su quelle spiagge che Kiraly esordisce, a 11 anni, nel suo primo torneo di beach volley, proprio al fianco del padre Laszlo, che aveva praticato la pallavolo a buoni livelli in Ungheria, arrivando a far parte della nazionale juniores.
Nel 1976 entra alla Santa Barbara High School, dove di fatto pratica per la prima volta in modo regolare la pallavolo indoor: i risultati sono subito eccezionali. Con lui in squadra, la sua scuola raggiunge subito la finale del campionato della South California, venendo sconfitta solo dalla San Clemente High School. Le sue prestazioni gli valgono comunque l’ingresso nella nazionale juniores statunitense, a partire dal 1977. Nel suo anno da Senior, il ‘78, arriverà al titolo con Santa Barbara (con il record di 83 vittorie consecutive), battendo in finale la Laguna Beach High School, vincendo il premio individuale come miglior giocatore del campionato.
Il 1979 vede il suo ingresso nel mondo universitario, nelle fila della celebre UCLA, University of California et Los Angeles, con la quale Karch Kiraly disputa quattro stagioni entrate a pieno titolo nella storia della pallavolo universitaria statunitense: arriveranno tre titoli nazionali NCAA (’79, ’81 e ’82), un secondo posto (nell’80, battuti dai Trojans di Pat Powers) e lo sfavillante record di 124 vittorie a fronte di sole 5 sconfitte in 4 anni. In quel periodo, Kiraly si divide ancora tra il ruolo di alzatore e quello di schiacciatore: sarà Doug Beal, ct della nazionale maggiore statunitense, a dirimere per sempre la questione, facendo del giovane Karch la colonna della sua squadra già nell’82, nel ruolo di schiacciatore-ricevitore.
Beal ha idee innovative che, nel giro di pochi anni, cambieranno per sempre i dettami tattici della pallavolo indoor: un solo palleggiatore in regia e, soprattutto, due soli giocatori in ricezione, motivo per cui non può prescindere dalla spaventosa sicurezza di Kiraly in quel fondamentale. Nel giro di pochi anni, a quella squadra si aggiungeranno altri grandi giocatori, come gli alzatori Jeff Stork e Dusty Dvorak, l’opposto Steve Timmons, i centrali Scott Fortune e Craig Buck e lo schiacciatore Bob Ctrvtlik. Nell’81 arriva l’argento ai campionati del continente nord e centroamericano, il cosiddetto Norceca, a Città del Messico, con gli Usa battuti in finale da Cuba. Due anni dopo, davanti al pubblico amico di Indianapolis, arriva la rivincita, con il primo oro della nazionale targata Kiraly, vincitrice del Norceca sul Canada e, grazie a questo successo, qualificata per le Olimpiadi di Los Angeles dell’anno seguente.

Anche la pallavolo, come quasi tutte le altre discipline alle Olimpiadi di Los Angeles ’84, regala un torneo falsato nei valori assoluti, a causa del boicottaggio di tutte le nazioni appartenenti al blocco sovietico, in risposta a quello americano delle Olimpiadi di Mosca di quattro anni prima. E’ il Brasile il grande favorito del torneo maschile, e i gironi di qualificazione giocati a Long Beach sembrano confermare i pronostici della vigilia: Brasile e Stati Uniti arrivano a punteggio pieno allo scontro diretto che chiude il girone, e i verdeoro spazzano via Kiraly e compagni con un 3-0 che non ammette repliche: 15-10, 15-11, 15-2. La sfida si replica in finale, cinque giorni dopo, grazie alle nette vittorie in semifinale degli Usa sul Canada e del Brasile su una sorprendente Italia, che riesce a strappargli un set prima di crollare. Ma chi pensa a una conclusione scontata del torneo si sbaglia di grosso: Doug Beal prepara alla perfezione la partita, Kiraly, a soli 23 anni, è il più giovane della squadra ma gioca una partita monumentale, il Brasile, come spesso gli succede quando si sente favorito, gioca con supponenza: gli Usa vincono 3-0, 15-6, 15-6, 15-7, e medaglia d’oro ai padroni di casa.
Il 1985 vede Karch Kiraly diventare capitano e guidare i suoi compagni nuovamente all’oro nel Norceca, stavolta su Cuba. Pochi mesi dopo è l’ora di un nuovo successo, ben più prestigioso, quello nella World Cup in Giappone: stavolta Urss e Cecoslovacchia sono in campo, ma gli Usa le mettono in riga ugualmente, con Kiraly premiato come MVP del torneo. Nel 1986 Karch Kiraly e gli Usa completano la cosiddetta “Triple Crown” del volley internazionale, vincendo a Parigi anche il titolo mondiale. La guida tecnica è cambiata, ora in panchina c’è Marv Dunphy, ma il gioco espresso dagli statunitensi è di una continuità irresistibile: in semifinale ne fa le spese ancora il Brasile e, in finale, l’Unione Sovietica, sgretolata scambio dopo scambio fino al 3-1 conclusivo. Kiraly è ancora una volta il miglior giocatore del torneo e del mondo.
Nell’87 gli Usa si aggiudicano l’oro ai Giochi Panamericani e nell’88 si presentano ai Giochi Olimpici di Seoul come campioni in carica. Completano il girone preliminare a punteggio pieno, ma perdono un set contro l’Olanda e soprattutto rischiano grosso contro l’Argentina, battuta al quinto dopo aver rimontato da due set a zero e vinto il quarto 17-15. In semifinale gli Usa trovano ancora il Brasile, spazzato via 3-0, mentre in finale c’è l’ennesima sfida all’Unione Sovietica, che si aggiudica il primo set ma viene pian piano rimontata, fino alla vittoria statunitense per 3-1. E’ il secondo oro olimpico per gli Usa e per Kiraly, che viene ancora una volta nominato miglior giocatore, ma che contemporaneamente annuncia il suo addio alla nazionale.

Nei due anni seguenti Kiraly torna al suo primo amore, il beach volley, disputando molti tornei del circuito statunitense, l’AVP, e qualcuno anche del circuito ufficialmente riconosciuto dalla FIVB. Nell’89 gioca 16 tornei AVP, tutti in coppia con Bent Frohoff, vincendone 4 e giungendo sul podio in altri 9. Nelle prove del World Tour scende in campo al fianco dell’ex compagno di nazionale, e grande amico, Steve Timmons: i due arrivano sesti alla loro prima uscita a Rio, poi terzi nella tappa di Jesi, e infine primi a Enoshima. Nel 1990 Kiraly gioca solo l’AVP, in parte con Kent Steffes e poi di nuovo con Frohoff: 21 podi (con 7 successi) su 23 tornei sono lo straordinario bottino del “King of the beach”, com’è ormai soprannominato in patria.
Ma il 1990 è anche l’anno del clamoroso ritorno di Kiraly alla pallavolo indoor: allettato dalla sfida tecnica del campionato italiano (di gran lunga il migliore del mondo, a quell’epoca) e da un’offerta faraonica della squadra di Ravenna, Kiraly sbarca in Italia al fianco di Timmons, per comporre uno dei sestetti più forti nell’intera storia del nostro campionato. Con Fabio Vullo in regia, Andrea Gardini e Masciarelli centrali, Timmons opposto e Kiraly schiacciatore in diagonale con Margutti o Errichiello, la squadra guidata in panchina da Daniele Ricci e trascinata in campo dai due americani già alla prima stagione si aggiudica scudetto e Coppa Italia. Nel 1992, seconda e ultima stagione di Kiraly e Timmons in Italia, arriveranno anche il titolo mondiale per club, la Coppa dei Campioni e la Supercoppa Europea. Soddisfatto per aver vinto in soli due anni tutti i titoli per club esistenti in Europa, a 32 anni Kiraly decide di abbandonare definitivamente la pallavolo indoor e di tornare nella sua amata California, per dedicarsi interamente alla sabbia. Gira voce, infatti, che il CIO abbia finalmente deciso di inserire il beach volley nel programma degli sport olimpici, a partire dai prossimi Giochi di Atlanta, in programma nel 1996.

I risultati della completa dedizione di Kiraly al beach non tardano ad arrivare: le stagioni AVP comprese tra il ’92 e il ’96, infatti, saranno di dominio totale del campione, che ormai fa coppia fissa con Kent Steffes. Nel ’92 Kiraly si aggiudica 17 tornei su 20 giocati, nel ’93 19 su 25, nel ’94 17 su 22, nel ’95 12 su 24 e nel ’96 12 su 22, giungendo all’appuntamento olimpico come il grande favorito.
Nel tabellone olimpico, alla coppia Kiraly-Steffes viene assegnata solo la testa di serie numero 3, poiché non hanno quasi mai giocato nel World Tour, ma è chiaro a tutti che il vero uomo da battere è Kiraly. Al primo turno eliminano i nostri Ghiurghi-Grigolo, poi si sbarazzano facilmente di una coppia tedesca, quindi affrontano nei quarti di finale gli altri grandi favoriti del torneo, Carl Henkel e Sinjin Smith. Il duello tra due leggende del beach come Kiraly e Smith darà vita a una partita epocale, un set di 55 minuti che Kiraly e Steffes si aggiudicheranno solo ai vantaggi, 17-15 al quinto match ball, dopo averne annullato uno agli avversari sul 14-15. Superato un leone come Sinjin Smith, la strada per Kiraly e Steffes si fa in discesa: in semifinale battono 15-11 Child e Heese, mentre in finale hanno la meglio in due set netti su Dodd e Whitmarsh, 12-5 e 12-8. Il punto conclusivo di questa partita consacra definitivamente la leggenda di Karch Kiraly, che diviene l’unico giocatore della storia capace di vincere le Olimpiadi sia nella pallavolo indoor che nel beach volley.
Nel 1997 Kiraly scioglie il suo sodalizio con Kent Steffes e passa a far coppia con Adam Johnson: i due vincono quattro tappe AVP consecutive ma Kiraly si infortuna a una spalla ed è costretto a diradare la propria attività, in quella stagione e nelle successive, non riuscendo a qualificarsi per le successive Olimpiadi, quelle di Sydney. Nel 2000 arriva comunque per lui un grande riconoscimento dalla FIVB, che nomina Kiraly, assieme al nostro Lorenzo Bernardi, “miglior giocatore del XX secolo”. Nel 2005, a 45 anni, vince a Huntington Beach, in coppia con Mike Lambert, l’ultimo torneo della sua straordinaria carriera, che conta 148 successi (record assoluto) su 353 tornei disputati, cui vanno aggiunti 57 secondi posti e 47 terzi: in pratica Karch Kiraly è salito sul podio nel 75% dei tornei disputati nell’arco di quattro decadi, dal 1978 al 2006.

Ritiratosi nel 2007, Kiraly fonda la sua Volley Academy, finalizzata alla formazione di giovani talenti. Due anni dopo, nel 2009, la federazione statunitense gli propone il ruolo di assistente allenatore nello staff della nazionale femminile: il ct è Hugh McCutcheon, ma a Kiraly viene chiesto di fornire un apporto motivazionale e psicologico, oltre che tecnico, alle ragazze. La squadra è in una fase di parziale ricambio generazionale, ma il livello è davvero alto, come dimostrano subito i risultati: ai Mondiali giapponesi del 2010 arriva un importante quarto posto e il successo nel Grand Prix, nel 2011 le vittorie di Grand Prix e Norceca, nel 2012 il tris al Grand Prix e il secondo argento consecutivo alle Olimpiadi di Londra dopo quello di Pechino di quattro anni prima. Tutti successi che vedono Kiraly agire nell’ombra, nel continuo tentativo di trasferire alle sue giocatrici quel perfezionismo e quella fame di successi che hanno contrassegnato tutta la sua carriera.
Il 12 settembre 2012, infine, la federazione decide di affidare a Kiraly la guida tecnica del successivo quadriennio, che culminerà nel 2016 con le Olimpiadi di Rio. Nel 2013 giunge sesto al Grand Prix, ma si qualifica per i Mondiali italiani dell’anno seguente vincendo il Norceca. Ai Mondiali del 2014 la nazionale Usa viene inserita nel girone C, a Verona, e se lo aggiudica a punteggio pieno, concedendo un set solo al Messico e alla Russia. Nella seconda fase perde sorprendentemente un set contro la Tunisia ma, soprattutto, perde 3-0 lo scontro diretto con il Brasile per il primo posto nel girone, che la spedisce nel girone di semifinale con Italia e Russia. Qui la squadra di Kiraly inciampa ancora, contro l’Italia, ma supera la Russia e la seguente vittoria delle azzurre sulla Russia consente alle statunitensi di approdare comunque in semifinale, ma contro il fortissimo Brasile di Ze Roberto. E’ qui che Kiraly riesce a far cambiare marcia alle sue ragazze che, trascinate da un’eccezionale Kimberly Hill, battono il Brasile 3-0 e in finale la Cina di Jenny Lang Ping per 3-1. E’ il primo titolo mondiale della storia per gli Usa femminili e un nuovo, vincente capitolo della leggenda di Karch Kiraly.

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Gianluca Puzzo

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