Kareem Abdul-Jabbar, un gancio dal cielo (1a parte)

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Kareem-1_post“È stato fermato dalla polizia per eccesso di velocità e gli agenti si sono accorti che aveva fumato”. Una notizia come tante, anonima, facilmente reperibile su qualunque giornale. Una notizia che, diciamolo pure, non fa poi tanto notizia. Allora cosa avrebbe di così peculiare per citarla in apertura di articolo? Nulla, se non fosse che il soggetto in questione è “soltanto” uno dei record-man più incredibili mai partoriti da Mamma NBA. Un bambino prodigio poi tramutatosi in un autentico monumento vivente.

Nome: Kareem Abdul-Jabbar (al secolo Ferdinand Lewis Alcindor, Jr.)
Data di nascita: 16 aprile 1947
Altezza: 2,18 metri
Nato (e cresciuto) a: New York
Contesto affettivo: unico figlio di Cora Lillian
Motivo dell’arresto: detenzione ed uso di marijuana

Segni particolari: campione assoluto del basket mondiale.

Oggi 53enne, Jabbar, numeri alla mano, può vantare imprese praticamente ineguagliabili. Alla leggenda pare destinato fin da bambino. Dal cesto montato davanti casa a quello vero e proprio del suo liceo, il Power Memorial High School, dove si allenava (costantemente e ripetutamente) in quello che diventerà il suo marchio di fabbrica, quel gesto aereo, acrobatico, che lo legherà alla gloria e alla storia per il resto della sua vita. Posizione defilata rispetto al tabellone, elegante torsione del busto, braccio curvo in un arco danzante, lieve inclinazione del capo, rilascio della palla… stoppata impossibile… canestro! Ladies and gentlemen, eccovi servito, profumato e ancora croccante, il proverbiale SkyHook Shoot (anche conosciuto come “gancio cielo”)!

Torniamo allo stato di fermo. Alla marijuana per la precisione, oggetto di dispute tra lui e la polizia americana già da qualche tempo. Arrestato nel 1998, poiché in possesso di droga, Kareem fu condannato e multato. Sostenne con fermezza che l’erba era solo un espediente per combattere lancinanti dolori di una tremenda emicrania che lo conduceva, regolarmente, tra le braccia sconfortanti di nausee e malesseri. Emicrania, amica inseparabile di mille tormenti, che torna a fargli visita (come un’amante indesiderata) nuovamente in questa occasione. Alla polizia californiana è bastato annusare appena l’abitacolo della sua vettura per accorgersi della considerevole quantità di erba da poco consumata. Molto gentile con gli agenti che l’hanno fermato (in linea con la sua natura), Jabbar è stato rilasciato poco dopo, in attesa che i risultati dei test fornissero il loro inequivocabile responso.

Ma chi è davvero Abdul-Jabbar? Un semplice fruitore seriale di stupefacenti? Un ex giocatore dall’ingombrante talento ben stipato tra le pagine ingiallite di un almanacco sportivo USA? No, non scherziamo per favore! Siamo al cospetto un uomo che ha saputo (e voluto) cambiare il volto di uno degli sport più amati Oltreoceano.

Prima che le folle lo conoscessero come Kareem Abdul-Jabbar, il suo nome era Lewis Alcindor. Almeno fino alla tenera età di 24 anni, dopo aver vinto la bellezza di 71 partite di basket consecutive nella squadra liceale. A seguire il college, la UCLA e i suoi tre campionati nazionali di basket consecutivi. Oggetto di attenzioni (quasi morbose) dei Bucks, nel Draft NBA del 1969 venne notato, segnalato e incluso nel quintetto base di Milwaukee, dove trascorse sei stagioni. Nel 1971, dopo aver conseguito il suo primo campionato NBA, il momento della svolta spirituale: l’abbraccio all’Islam. Il suo nome? Roba del passato! Alcindor sacrifica se stesso, immolandosi sull’altare dell’islamismo, per far sorgere dalla sue ceneri il musulmano Kareem Abdul-Jabbar (Kareem “nobile e generoso”, Abdul “servitore di Allah” e Jabbar “potente”). Nel 1975, il trasferimento ai Lakers, con i quali giocherà le ultime 14 stagioni della sua carriera, vincendo altri cinque campionati NBA.

Abdul-Jabbar ha sempre occupato in campo la posizione dei veri guerrieri, centrale, sotto canestro, in quella terra di tutti e nessuno dove non si risparmiano spinte, gomitate e violenti strattoni. Dotato di grande controllo di palla, in difesa era un muro che incuteva timore a chiunque lo sfidasse. In attacco un autentico rullo compressore. Emanava un’aurea da leader in modo del tutto naturale. Anche il suo regime di fitness, rigorosissimo, ha contribuito a renderlo famoso, permettendogli di diventare uno dei giocatori più longevi di sempre (20 stagioni e 1.560 match sono prestazioni superate solo dal centro, ex Celtics, Robert Parish).

Al momento del suo ritiro, nel 1989, Kareem Abdul-Jabbar è stato un campione da Guinness dei primati per punti segnati (38.387), partite giocate (1.560), minuti giocati (57.446), tiri del campo realizzati (15.837), tiri liberi effettuati (28.307), stoppate (3189), rimbalzi difensivi (9.394) e falli personali fatti (4.657). Nel 2008, ESPN lo ha nominato “il più grande giocatore nella storia del basket collegiale”. L’allenatore NBA, Pat Riley, e il giocatore-idolo, Isiah Thomas, lo considerano il più grande giocatore di basket di tutti i tempi. Sei volte NBA Most Valuable Player (MVP), 19 volte nell’NBA All-Star, 15 nella selezione All-Time NBA e un 11 in quella NBA All-Defensive Team. Nel 1996, è stato premiato come uno dei 50 migliori giocatori della storia dell’NBA . Non pago di cotanto successo, è stato anche un attore, un allenatore di basket e un scrittore di best-seller. Dimenticavo, nel 2012 è stato selezionato dal Segretario di Stato, Hillary Clinton, come ambasciatore della cultura globale degli Stati Uniti.

In un’intervista, risalente a diverse settimane fa, è stata avanzata l’ipotesi di “rimpianti”. Un uomo che sembra aver condensato dieci vite in una sola? Incredibile ma vero, Kareem ha risposto: «Ho avuto una carriera straordinaria, vero, ho vinto tutto e stabilito record su record… eppure ci sono un paio di titoli che potevo conquistare e non l’ho fatto!». Ad un tipo del genere, dall’enorme levatura umana e sportiva, un mal di testa ogni tanto, possiamo anche accettarlo, perdonandogli l’utilizzo di sostanze ‘al limite’ (per scopi puramente curativi… s’intende!).

“Tutto qui?” Beh, sarebbe più che sufficiente per riempire una decina di libri per la gioia di editori di mezzo mondo e una cinquantina di DVD a far bella mostra di sé in qualunque collezione. Ma non è ancora abbastanza, il nostro Kareem è dotato di spirito indomito. Eccolo lì, nel 1968, mentre boicotta le Olimpiadi per protestare contro il trattamento riservato ai neri dall’America. In quel periodo scopre una naturale predisposizione a favore delle battaglie civili, alle attività di beneficienza e si dedica allo studio della storia dei neri americani. Scatta la scintilla per la scrittura e si tuffa nei libri. Tra i suoi testi va annoverata un’autobiografia, “Giant Steps”, best seller per due anni consecutivi, nel 1983 e 1984. “Profiles in Black Courage”, invece, viene pubblicato nel ’96, in cui elenca, con accuratezza e padronanza di linguaggio, positivi esempi di eroi afro-americani. Vale la pena di precisare che Abdul-Jabbar ha lavorato altresì come assistente per i Clippers di Los Angeles e per i Seattle SuperSonics, supportando in veste di mentore i loro piccoli centri, Michael Olowokandi e Jerome James. È stato capo allenatore degli Oklahoma Tempest ma non è riuscito ad afferrare la posizione di Head Coach presso la Columbia University (un anno più tardi). Ha lavorato come ricercatore di talenti per i New York Knicks e il 2 settembre del 2005 è tornato ai Lakers come assistente speciale per Phil Jackson per aiutare i centri dei Lakers e in particolare Andrew Bynum.

Fermiamoci un attimo. Prendiamo fiato. Piccola pausa riflessiva per metabolizzare la lista degli interminabili successi fin qui citati.
CONTINUA

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Francesco Pumpo

Un commento

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  • Grande Jabbar, grande storia, grande mano calda. Qualcuno lo rimproverava di non far muovere neanche la retina del canestro. Aspetto il seguito.

Francesco Pumpo

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