Jabbar vuole di più, testardo com’è. Ci riesce: il cinema, la tv e una sua casa di produzione. Il basket, però, amore eterno della sua vita, resterà per sempre una componente fondamentale del suo patrimonio genetico. La significativa esperienza alla guida dei Los Angeles Clippers sarà il trampolino ispiratorio per “A season on the Reservation”, libro in cui racconta una stagione vissuta trovandosi nella parte opposta del campo, lì dove si insegna e non si segna. Ha avuto numerose apparizioni televisive e cinematografiche, spesso interpretando se stesso. Ha ricoperto numerosi ruoli in film come L’aereo più pazzo del mondo, Fletch, Troop Beverly Hills, Forget Paris ma non ha disdegnato neanche serie televisive come Full House, Living Single, Amen, Tutti amano Raymond, Martin, Il mio amico Arnold, Il principe di Bel-Air, Scrubs, 21 Jump Street, Emergency!, L’uomo di Atlantide e New Girl. È apparso in un episodio de I Simpson nel 2011 e ha avuto un ruolo nella serie NBC, Guys with Kids, andato in onda dal 2012 al 2013.
Su Al Jazeera inglese ha espresso il suo desiderio di essere ricordato non solo come giocatore, ma come qualcuno che aveva molti talenti e li ha usati tutti!
“Perdono tempo tirando da tre. Se stessero a un paio di metri dal canestro, segnerebbero con percentuali altissime e farebbero vincere le loro squadre” ha criticato a chiare lettere, in una delle sue ultime interviste, riferendosi ai Centri moderni. “Mi piacciono molto i fratelli Gasol, specialmente Marc. È il giocatore che vorrei con me. Sa fare tutto: difendere, attaccare, passare la palla, mettere dentro i liberi”. Ricevere una benedizione del genere da un gigante del basket della caratura di Kareem deve essere vergognosamente lusingante. Neanche un velo di sorpresa quando si accenna allo scarso utilizzo che si fa, oggi, del suo proverbiale gancio-cielo: “No, non sono affatto sorpreso… perché ormai è diventato dominante il tiro in sospensione. E poi molti allenatori non sanno insegnarlo. È un peccato perché è un colpo efficace. Ma finirà per scomparire”. Sostiene di guardare l’NBA, apprezzando il gioco messo in campo dai San Antonio Spurs: “Fanno un tipo di basket vincente. Sono capaci di bilanciare perfettamente il gioco in area e dal perimetro. Credo che la gente apprezzi”. I giocatori migliori secondo Abdul-Jabbar? “Chris Paul, Kevin Durant e LeBron James. Sono capaci di essere leader nelle loro squadre, in ogni stagione, rendendo grande la NBA”.
Il nostro eroe ha saputo spostare il faro luminoso dell’attenzione pubblica su di sé fin dagli anni del suo esordio liceale, dove frantumò numerosi record. Può un adolescente di 6 piedi e 8 pollici allungare la sua ombra minacciosa sulla mastodontica Grande Mela? Certo, purché sia capace di firmare 71 vittorie consecutive, un primato complessivo di 79-2 e la cifra stratosferica di 2.067 punti totali. Nel corso della sua carriera universitaria fu nominato due volte Player of the Year (1967, 1969) e tre volte First Team All-American (1967-1969), giocò in tre squadre campioni di basket NCAA (1967, 1968, 1969) e venne premiato più volte come Outstanding Player nei tornei NCAA (1967, 1968, 1969). Nel 1967 e nel 1968 vinse il titolo di Player of the Year nello USBWA College, in seguito ribattezzato Robertson Trophy Oscar, e divenne l’unico giocatore a vincere l’Helms Foundation Player of the Year Award per tre volte.
Parallelamente al basket, il giovane Alcindor conseguì una Laurea in Storia presso la UCLA e nel tempo libero praticò (con religiosa dedizione) le arti marziali, impegnandosi nello ‘Jeet Kune Do’ sotto Bruce Lee, che nel 1979 lo volle al suo fianco nel cast del film “L’ultimo combattimento di Chen”, in cui Kareem interpretò la parte del mastodontico Hakim.
Gli Harlem Globetrotters gli offrirono l’incredibile cifra di 1 milione di dollari per giocare con loro. Alcindor non si lasciò abbindolare: incassò i complimenti, meditò il tempo sufficiente e sentenziò il “gran rifiuto”. Fu così scelto dai Milwaukee Bucks (che erano alla loro seconda stagione di vita). La presenza di Alcindor permise ai Bucks di rivendicare il secondo posto nella Eastern Division (1969-1970), con un record di 56-26 (rispetto al mediocre bottino di 27-55 dell’anno precedente). Quel ragazzo era destinato a grandi imprese. Molti lo capirono da subito. Intanto il tempo passava e lui si imponeva sempre più come una grande star. La stagione successiva non fu da meno. Milwaukee continuò a spadroneggiare, collezionando numerosi successi e registrando il miglior record in campionato con 66 vittorie nella stagione 1970-71. Qui, tra le altre cose, occorre annoverare un ulteriore primato (nel primato) di ben 20 vittorie consecutive. Nei playoff i Bucks totalizzarono un incredibile 12-2, aggiudicandosi il campionato, mentre Alcindor portava a casa il trofeo di MVP delle finali. Jabbar è la forza dominante e trainante per Milwaukee, ripetendo nei periodi successivi performences da urlo in termini di punteggio (34.8 ppg e 2.822 punti totali), di titoli Most Valuable Player (MVP) e di blasone per i Bucks (leader di divisione per quattro anni consecutivi). Nel 1974 Kareem vinse il suo terzo premio MVP in cinque anni e fu tra i primi cinque giocatori NBA ad avere scorer da sogno: terzo per punti segnati (27.0 ppg), quarto per rimbalzi conquistati (14.5 rpg), secondo per stoppate fatte (283) e ancora secondo per percentuale di field goal confezionati (0,539).
1975. All’orizzonte i Lakers. Abdul viene acquistato dai Milwakee e il centro, neanche a dirlo, guadagnò subito il suo quarto premio MVP. Sono questi gli anni in cui Kareem indosserà quegli occhiali che diventeranno uno dei suoi tratti distintivi. Troppi anni trascorsi a combattere, stoicamente, mille e violente battaglie sotto canestro avevano lasciato il segno con alcuni effetti collaterali alla vista: sindrome di erosione corneale. Gli occhi sì seccavano troppo facilmente e cessavano di produrre l’umidità necessaria per la naturale lubrificazione. Nella stagione 1976-1977, Jabbar torna a spingere forte sul pedale dell’acceleratore, arrivando secondo nei rimbalzi e nelle stoppate, terzo in punti a partita. La sua forza di volontà planò sui Lakers come un vestito comodo e seducente, aiutandoli al raggiungimento del miglior record della NBA e all’ennesimo (quinto) premio MVP.
Il 1979 é un anno da imprimere a fuoco negli annali dello sport mondiale (capo chino in gesto di assoluta riverenza): un ragazzino di nome Earvin Johnson, poi soprannominato “Magic”, alla tenera età di 19 anni, arriva nella Città degli Angeli. Lui e Abdul-Jabbar incarneranno gli Oracoli della Saggezza e del Potere californiano, permettendo ai Lakers di entrare in eterno nella leggenda, facendoli diventare una delle squadre dominanti degli anni ’80 e presentandosi in finale per ben otto volte (vincendo la bellezza di cinque campionati NBA!). Il nostro non era più il centro possente degli anni ’70, ma ha saputo vivere lo stesso una serie di momenti epici: sesto premio MVP nel 1980, più di quattro nomine per l’ All-NBA Best Team, altre due per l’All-Defense Team. Il 5 aprile 1984 viene polverizzato il record di Wilt Chamberlain per i punti in carriera. Intanto i 40 anni sono lì, alle fatidiche porte, con lo stendardo ben evidente di dei primi acciacchi fisici.
Il 28 giugno 1989, dopo venti lunghissime, stancanti ma gloriose stagioni da professionista, Kareem Abdul-Jabbar dice “stop”. Dopo venti lunghissime, stancanti ma gloriose stagioni da professionista, Kareem Abdul-Jabbar è costretto ad accettare l’inevitabilità della vita. Dopo venti lunghissime, stancanti ma gloriose stagioni da professionista, Kareem Abdul-Jabbar annuncia il suo ritiro da quel mondo che lo aveva consacrato un atleta straordinario, una divinità data in prestito agli umani il tempo strettamente necessario per consentire a chiunque di conoscere, vivere e toccare con mano la sostanza di cui sono fatti i sogni sportivi.
Grazie Kareem per averci permesso di sognare, segnare e volare insieme!