Vent’anni: un’eternità o un breve lasso di tempo, nel ricordo dell’impresa di un grande campione.
Durante l’estate del ’98, la maggior parte dell’interesse sportivo era concentrato sui mondiali di calcio francesi, dove la nazionale italiana, pur schierando una formazione di primo livello, si fermerà ai quarti contro i padroni di casa, poi vincitori del loro primo ed unico titolo mondiale.
In Francia però, un italiano riesce a farsi amare, tanto da meritarsi il titolo “Pantanissimo” sulla copertina dell’Equipe, mentre molti sportivi italiani iniziano a farsi crescere il “pizzetto” sul mento, colorandolo di giallo. Una moda passeggera? No. Il timbro di un’annata storica per il ciclismo internazionale, la doppietta Giro d’Italia/Tour de France di Marco Pantani.
Davanti ai teleschermi, poco importava delle strategie di squadra o dello stato di forma dei rivali, non si aspettava altro che Pantani gettasse la sua bandana sul ciglio della strada, segno dell’imminente azione annunciata dall’entusiastica voce di Adriano De Zan: “Ecco che scatta Pantani, è partito!”
Al Giro, lo stato di forma arriva nella seconda parte della corsa.
Con la prima vittoria (14a tappa, Schio-Piancavallo) Pantani inizia a ridurre il distacco da Alex Zulle, poi ampliatosi nella successiva cronometro di Trieste. Tutto finito? Per niente.
Nella 17a tappa (Asiago-Selva Val Gardena) il Pirata è maglia rosa, dopo essere arrivato sul traguardo insieme a Guerini (vincitore). Ancora gloria nella 19a tappa (Cavalese-Plan di Montecampione) che gli permette di guadagnare quel distacco dal russo Pavel Tonkov che gli sarà fondamentale per la vittoria finale.
Distacchi abissali per tutti gli altri, basti pensare che il decimo classificato (Serhij Hončar) conclude con un ritardo di quasi 26 minuti.
Al Tour, tutti i big si presentano al via dopo una preparazione mirata per la Grand Boucle.
Dopo aver vinto l’11a tappa (Luchon-Plateau de Beille), Pantani concede il bis nella 15a tappa (Grenoble-Les Deux Aples) compiendo una delle più grandi imprese mai scritte negli annali del ciclismo, scattando sul terribile Col du Galibier in una giornata caratterizzata dal maltempo.
Il pirata danzando sui pedali, anima il cuore della folla che lo incita mentre dietro, gli altri si voltano, cercano aiuto e sentono salire l’acido lattico proveniente soprattutto da un crollo nervoso, vedendolo allontanarsi progressivamente, mentre la strada è sempre più in salita.
Ad ogni tornante uno scatto, i secondi diventano minuti ed Ullrich che crolla sotto i colpi di una progressione a dir poco straordinaria, è costretto a togliere la maglia gialla, arrivando al traguardo con quasi nove minuti di distacco.
Nella 16a tappa (Vizille-Albertville) è ancora protagonista, poi da vero campione lascia la vittoria al tedesco che nella tappa precedente era crollato.
Nell’ultima cronometro individuale perde due minuti e mezzo ma i giochi ormai sono fatti.
Su podio finale, salgono Ullrich e Julich, distaccati rispettivamente di 3’21” e 4’08”.
Cosa rimane oggi di quell’estate? Un nostalgico ricordo e l’impotenza di celebrare un ciclista, scattato ben più lontano rispetto agli arrivi in montagna.
Per le statistiche, a trionfare nello stesso anno in almeno due grandi corse a tappe, ci sono riusciti grandi nomi come Fausto Coppi (’49 e ’52), Jacques Anquetil (’64), Eddy Merckx (’70, ’72, ’74), Bernard Hinault (’82 e ’85), Stephen Roche (’87) e Miguel Indurain (’92 e ’93). In tempi recenti, gli ultimi sono stati Alberto Contador (Giro-Vuelta 2008) e Chris Froome (Tour-Vuelta 2017).