Avevo chiuso il post di presentazione del Superbowl dubitando che il motto che vuole la difesa elemento chiave per vincere il titolo fosse applicabile anche alla sfida tra Denver e Seattle. Beh, non credo che il campo potesse rispondermi in maniera più brutale, visto l’umiliante 43 a 8 con cui i Seahawks hanno asfaltato i Broncos e, in primis, Peyton Manning, grazie soprattutto a una difesa perfetta, capace di tenere l’MVP della stagione sotto le 300 yard, capace di intercettarlo due volte e capace, infine, di schiacciare il miglior attacco della NFL. Anche l’attacco di Seattle ha giocato alla grande, sia chiaro, e prova ne è il fatto che Lynch non abbia dovuto fare gli straordinari, correndo solo per 39 yard. Wilson ha giocato come un veterano (18 su 25 per 206 yard e 2 touchdown), completando alcuni splendidi terzi down lunghi nel primo quarto, ma anche lui non ha avuto bisogno di strafare, trovandosi la strada ben accomodata dai compagni della difesa.
Una partita che sostanzialmente non c’è mai stata, questo Superbowl, con Denver subito sotto 2-0 dopo pochi secondi per una safety causata da un pasticcio sullo snap tra Manning e il suo centro, e proseguita sugli stessi binari fino al culmine del 36-0 cui si è arrivati nel terzo periodo. A quel punto, è rimasto spazio solo per il “goal della bandiera” degli sconfitti, prima di un ultimo touchdown degli ‘Hawks, a suggellare un titolo conquistato in maniera roboante e continua, vincendo la regular season della propria conference e superando i 49ers in quella che poi si è rivelata la vera finale.
Finita la cronaca, resta da ragionare sui motivi di questo crollo impensabile di Denver, uscita con le ossa rotte da questa partita che credo segnerà pesantemente anche i suoi movimenti di mercato. Un crollo che getta benzina sul fuoco dei detrattori di Peyton Manning, quelli che lo vedevano già prima come il migliore della regular season e il perdente dei playoff, citando gli esempi di Brady e del suo stesso fratello Eli, con meno premi individuali, con meno record, ma con più anelli da campione tra le dita. Avere cinque premi di MVP stagionale e un solo titolo NFL, avere solo 11 vittorie a fronte di 12 sconfitte nei playoff, sono dati che dicono molto, in effetti, ma non credo sia giusto trasformare l’analisi di questa sconfitta in un processo pro o contro Peyton Manning, come invece sta avvenendo in questi giorni sui media americani. Manning è un qb statico e lento, per i canoni del football moderno, e ha bisogno di una linea che lo protegga a dovere, specialmente ora che ha 37 anni e una montagna di infortuni sulle spalle: questo si sapeva dall’inizio della stagione, cosa c’è di nuovo? Era il suo modo di giocare anche durante i record: Manning ha bisogno di una linea che si sacrifichi totalmente a lui. Domenica la sua linea offensiva questo lavoro non l’ha fatto, subendo l’aggressività della linea degli ‘Hawks dal primo all’ultimo snap; il gruppo dei ricevitori di Denver è vissuto tutto sulle spalle di Thomas e Welker, gli unici a non essersi fatti intimidire dai placcaggi delle secondarie di Seattle; i running back non pervenuti, con soli 7 palloni portati tra Moreno e Anderson.
Seattle ha avuto la fortunata bravura (passatemi l’immagine poetica, ma penso sia chiaro il concetto) di andare subito in vantaggio e di capitalizzare subito le occasioni. A quel punto Denver, per l’ansia di rimonta, è finita dritta nella trappola perfettamente preparata da Pete Carroll, cioè quello in cui la difesa di Seattle eccelle dall’inizio della stagione: la difesa contro i lanci. Che Peyton Manning non sia un “clutch qb” come Montana o Brady o Unitas mi pare a questo punto assodato; che con un attacco di quel livello intorno a sé lui avrebbe potuto (e dovuto) arrivare almeno a una sconfitta onorevole mi pare sacrosanto, ma non sono così certo che i tre pluricampioni citati prima sarebbero stati in grado di vincere in rimonta contro questa superlativa difesa di Seattle, spalleggiata da un attacco concreto e da un qb come Russell Wilson che potrebbe aver segnato la chiusura di un’era e la fine di una generazione di grandi qb, come Manning, Brady e Brees. Non è un caso, a ben vedere, che Seattle abbia rischiato seriamente la sconfitta contro San Francisco, capace di andare avanti due volte nel punteggio e quindi di non dover giocare solo con la palla in aria. Ma gli ‘Hawks si sono tirati fuori alla grande da quella situazione ed è stato lì che si sono messi in casa un bel pezzo del Vince Lombardi Trophy.
Infine, uno sguardo al futuro. Manning aveva già annunciato prima del Superbowl di voler continuare a giocare anche il prossimo anno, ma questa batosta (e le cicatrici di cui sopra) potrebbero indurlo a chiudere qui la sua eccezionale carriera. Il football è un gioco troppo pericoloso per dire “provo a continuare e vediamo che succede”, ogni atleta dev’essere molto motivato, all’inizio della stagione, per non aver paura d’infortunarsi e per essere mentalmente predisposto verso tutte le botte che finirà inevitabilmente per prendere. Se Manning smette, per Denver si apre ovviamente l’enorme problema della successione; se invece continua, il problema è minore ma sempre presente, cioè costruirgli intorno una linea fortissima che lo tenga in salute per tutta la stagione. Molto più roseo, invece, il futuro di Seattle: campioni con una squadra giovane (tutto il contrario dei Ravens dello scorso anno) e completa in tutti i reparti, gli ‘Hawks promettono di essere i leader della nuova NFL.
Mi spiace per Mannig ma mi sa che è finito per le squadre di alta classifica
Potrebbe essere come dici tu, ma in realtà, se continua, Denver potrebbe spendere forte e fargli una squadra ancora migliore intorno, tutta con contratti annuali o biennali. E quando lui si ritira la squadra viene rifondata da zero. Staremo a vedere.