Cinquantacinque anni sono lunghi, ma forse valeva la pena attendere così tanto, per i tifosi degli Astros, per vivere una notte così, la prima da campioni dalla fondazione della franchigia. Una notte arrivata dopo una vigilia carica di tensione, subito esorcizzata con un primo inning da due punti. E una volta rotto il ghiaccio, Houston è stata un treno in corsa, prima col lineup, capace di devastare ancora una volta Yu Darvish, e poi col bullpen, capace di tenere a secco i Dodgers per sei riprese e due terzi, costringendoli sostanzialmente alla resa con tre inning di anticipo.
A proposito, i Dodgers? Erano favoriti, visto il fattore campo e il fatto di aver vinto gara 6 malgrado ci fosse Verlander sul monte, eppure si sono sciolti in tutti i momenti decisivi del match. Sì perché di chance per rientrare in partita L.A. ne ha avute parecchie, basti pensare che ha battuto una valida in più di Houston e ha lasciato qualcosa come dieci uomini in base nei primi sei attacchi, ma dopo tanto tuonare ha portato a casa solo un uomo, Pederson, al sesto inning. Nulla da ridire sull’operato di Roberts in gara 7, anzi ha avuto una bella idea nel sesto, quando ha invogliato Hinch a inserire un pinch hitter su Devenski riempiendogli le basi con due intentional walk consecutive. Il manager di Houston lì c’è cascato, mandando Maybin nel box, facile preda di Kershaw, ma ha avuto la bravura (e la fortuna) di pescare Morton in serata di grazia, capace di concedere un solo punto ai Dodgers nei successivi quattro attacchi.
La rovina dei Dodgers è stata innanzitutto la prestazione di Darvish, il partente che già era costato loro gara 3. Non più tardi di ieri avevamo scritto che era molto difficile che il giapponese ripetesse un altro disastro, e invece siamo stati smentiti; merito dei battitori di Houston, certo, ma quell’home run da due punti servito a Springer nel secondo inning grida vendetta al cielo, a questi livelli e in una partita così importante. Il bullpen dopo di lui (Morrow, Kershaw, Jansen e Wood) ha tenuto più che bene, concedendo solo due valide in sette inning e un terzo, ma i buoi erano ormai scappati dalla stalla. Houston vince il primo titolo dalla sua fondazione, nel 1962, traguardo mai raggiunto neppure negli anni d’oro di Nolan Ryan, e lo fa con un mix davvero ben studiato di veterani e giovani talentuosissimi, a partire da Springer, MVP di queste World Series, per proseguire con i vari Altuve, Correa e Bregman, un gruppo di interni da sogno per esplosività e freddezza. Un titolo bello e meritato, visto che nelle due partite più appassionanti e complicate della serie, le gare 2 e 5, l’hanno sempre spuntata loro, e per di più vinto in un anno drammatico per la città, devastata solo nove settimane fa dall’uragano Harvey. “We shall overcome” dice una celebre canzone folk americana; non parlava certo degli Astros, ma sull’ultimo out di Altuve era come se suonasse davvero per loro.