Altro giro, altra corsa: nella primissima mattina italiana del 5 luglio 2017, la sirena di gara 2 delle Finals Nba suona sul 132-113 per i padroni di casa di Golden State. Torna Steve Kerr in panchina (per l’head coach dei Warriors questa è stata una stagione travagliata, con molte assenze sul parquet per questioni di salute) e i suoi ragazzi continuano a vincere, continuano a mostrare una forza sovrumana conquistando la quattordicesima vittoria consecutiva nei playoff, record di tutti i tempi. La serie va sul 2-0 in attesa di spostarsi a Cleveland e l’inerzia della sfida varia di poco rispetto a gara 1: Cleveland regge meglio l’impatto, restando aggrappata al match con le unghie e con i denti fino all’intervallo lungo (67-64 il parziale), ma non basta. Nel terzo quarto Durant e compagni scavano il solco decisivo con un parziale di 35-24 dal quale i Cavs non riescono più a riprendersi. L’ultimo periodo serve solo a mantenere calde le riserve californiane il cui apporto è sempre importante.
Non basta il record personale di King LeBron James (ottava tripla doppia nei playoff, raggiunge il grandissimo Magic Johnson al primo posto di questa particolare classifica) per avere la meglio di questi Warriors; ma nemmeno per essere davvero competitivi contro una squadra che, nonostante tutto, perde la bellezza di venti palle, concedendo ai campioni in carica ben ventitre punti totali. Sono le altre statistiche a dare il quadro della situazione: 51,7% dal campo, addirittura 41,9% da tre, con i padroni di casa superiori nei rimbalzi totali, in quelli offensivi, negli assist e nelle stoppate. Guardandoli in campo, sembra che Kevin Durant e Steph Curry non abbiano altro in testa che distruggere gli avversari e vincere l’anello: il primo attacca il ferro con ferocia ed efficacia, il secondo guida il gioco dei suoi con cattiveria e grandissima precisione realizzativa; entrambi difendono alla morte su tutti i palloni (Durant terminerà la gara con 5 stoppate a referto), concedendo agli avversari solo giocate individuali ad alto coefficiente di difficoltà. Addirittura, il play di casa si rende protagonista della sua prima tripla doppia nei playoff, con 32 punti, 10 rimbalzi e ben 11 assist, anche se macchiati da 8 palle perse. Dal canto suo, KD mette a segno altri 33 punti, ma stavolta l’apporto dei compagni è ancora più pesante: Thompson ne mette 22 (con il 57,1% da tre), Green 12 quando arrivano i raddoppi sugli altri, e per questo fondamentali, Livingston e Clark 10 a testa, sintomo di una distribuzione più equa rispetto a gara 1 e di un mal di testa ancora più forte per i giocatori di coach Lue.
Dall’altra parte del parquet, LeBron si rende protagonista della solita ottima prestazione, mettendo a referto 29 punti, 11 rimbalzi e 14 assist, con un sontuoso 66,7% dal campo, ma la palla gira male, è troppo spesso ferma e questo agevola la difesa dei Warriors: Irving galleggia con i suoi 19 punti e 7 assist (8/23 dal campo), mentre è il solo Love a tenere botta, soprattutto sotto canestro, firmando 27 punti. Oltre loro, il deserto: Jr Smith addirittura a secco, Tristan Thompson molto poco presente e gli uomini dalla panchina poco incisivi. Eppure, gli ospiti tirano undici volte in più di Golden State, ma con una percentuale decisamente peggiore e una distribuzione che vede ben 64 tiri sui 100 totali dalle mani di James-Irving-Love, mentre il trio Curry-Durant-Thompson dall’altra parte ne prende solo 51 su 89, con una media realizzativa ben più alta, ed una distribuzione in campo più equilibrata tra i giocatori.
Numeri alla mano, sembrerebbe una serie già scritta, e forse lo è. Una squadra capace di inanellare quattordici vittorie consecutive andando sotto in un paio di occasioni ma senza mai – e dico mai – lasciar intendere di poter uscire sconfitta dal campo, sembra impossibile che possa perdere quattro gare delle prossime cinque. Inutile dirlo, sarà spartiacque gara 3 alla Quicken Loans Arena di Cleveland, dove il pubblico e la voglia di riscatto di James e compagni possono stravolgere il pronostico. Ma servirà un’intensità spalmata interamente sui quattro periodi di gioco, un’attenzione maggiore da parte dei comprimari, un Irving maggiormente ispirato, una panchina con un apporto decisamente più solido e, ovviamente, un appannamento da parte dei giallo blu californiani, che se continuano così (e perché non dovrebbero) potrebbero addirittura vincere l’anello senza nemmeno una sconfitta nella post-season. Ma, non ce ne vogliano i tifosi dei Warriors, noi speriamo proprio che non sia così.