Il primo atto dell’attesa finale Nba tra Golden State e Cleveland va ai Warriors dopo una gara dominata dal secondo quarto in poi. Ad Oakland va in scena il Kevin Durant Show: l’ala ex Oklahoma, autore di 38 punti, 8 assist e 8 rimbalzi, guida i padroni di casa al tredicesimo successo di fila nei playoff 2017, ma soprattutto al 113-91 che consegna l’1-0 a Golden State. Il successo limpido dei Warriors non tragga in inganno: anche negli ultimi due anni la prima è andata a Curry e soci, ma la serie è sempre terminata con una strepitosa gara 7. Per cui, mettiamoci comodi e godiamoci lo spettacolo di una serie che sta diventando tra le più divertenti di tutti i tempi.
‘Sir’ Charles Barkley ha definito i playoff 2017 i più brutti di sempre. L’espressione, come tutte le frasi assolutiste, è estremamente opinabile, ma non si può bollare come non condivisibile: in finale ci sono arrivate due squadre che nei playoff avevano il record di 12-0 e 12-1, sintomo di una competizione che, sia ad Est che ad Ovest, davvero non esiste. Le uniche vere emozioni, gli unici risultati equilibrati, sono arrivati dagli scontri preliminari, dalle sfide tra Washington e Atlanta o tra L.A. Clippers e Utah. Ma chiunque abbia poi incontrato Warriors o Cavs, si è dovuto piegare allo strapotere dei due team.
Dunque, aspettavamo tutti con ansia la terza sfida tra le due regine degli ultimi tre anni, nella speranza di farci alzare l’adrenalina e l’eccitazione, oggettivamente scese quasi a terra dal termine della Regular season in poi. A dir la verità, quest’anno c’è un fattore in più non da poco in casa Golden State: quel Kevin Durant che l’estate scorsa ha deciso di approdare in un meccanismo collaudato per poter vincere l’anello dopo averlo sfiorato in più di un’occasione con gli Oklahoma. Proprio lui è stato il vero protagonista della prima gara della serie finale, tanto che lo stesso LeBron James, alla domanda “Cosa ti ha colpito di più dei Warriors?” ha risposto: “Kevin Durant.” Ovviamente questo sposta gli equilibri non poco e la sfida finale non ha il vero sapore di un terzo incontro, di una sorta di “bella” tra Curry e James. Perché, se i campioni in carica non hanno toccato nulla del quintetto titolare dell’anno scorso, aggiungendo solo qualche tassello in panchina (Deron Williams e Korver su tutti), gli uomini di Steve Kerr hanno stravolto quintetto e modo di giocare con l’arrivo dell’All Star KD. L’anno scorso, in gara 1 (vinta sempre da Golden State) il miglior marcatore dei campioni dell’Ovest fu Livingston (partendo dalla panchina) con 20 punti e ci furono altri sei giocatori in doppia cifra; quest’anno Durant e Curry hanno messo a segno 66 punti in due (più della metà del totale di squadra) e nessun altro è riuscito a superare la doppia cifra. Questo lascerebbe pensare ad un attacco più statico, meno condiviso; invece, il paradossale dato che racconta di un numero maggiore di assist quest’anno rispetto all’anno scorso (31 nel 2017 contro i 29 del 2016), descrive come il movimento di palla sia sempre una prerogativa dei ragazzi di Kerr, ma che i terminali offensivi siano ripartiti diversamente. Un’arma in più per un team che sembrava impossibile da migliorare e che invece dà proprio l’impressione di aver alzato l’asticella ancora più su.
Di contro, i campioni in carica di Cleveland hanno distribuito meglio lo score, con i tre all-star in buono spolvero e Thompson a quota 10. Ma i soli 17 assist stanno a testimoniare un gioco caratterizzato maggiormente sugli isolamenti e sulle giocate dei singoli, che non hanno fatto la differenza. Intendiamoci, questo è il leitmotiv più interessante dello scontro tra queste compagini, che divide la critica e il pubblico dal 2015. Il problema, però, è che se a Golden State inserisci un altro, oltre a Curry, che sa giocare da solo e produrre un quarantello, allora il mal di testa può essere più che possibile. Noi siamo convinti che la sfida sia solo all’inizio e che LeBron e compagni sapranno rialzarsi ed offrire a noi tutti amanti di questo sport un’altra serie entusiasmante, anche perché Cleveland ci ha abituati ad un approccio molto soft nelle finals, quasi come se necessitasse di essere messa sotto per potersi esprimere al meglio. Un atteggiamento pericoloso, che si spera possa ripetere quanto visto negli ultimi anni: anche perché, se così non fosse, non avremmo più scuse per dissentire da Barkley.