“Defense the land!”
Un coro unico, ripetuto come un mantra, si innalza dalla folla.
Non può esserci incitamento più avvolgente e motivante.
Non può esserci comandamento più adatto da rispettare.
Non può esserci atto di amore più profondo da condividere.
“Difendere il campo!”
Se i Cavs voglio davvero diventare “leggenda”, devono partire innanzitutto dalla “storia”.
Cleveland, Gara 6. Gemma grezza, preziosa, incastonata nella regale corona di queste NBA Finals 2016: una delle più combattute ed entusiasmanti degli ultimi anni, come non se ne vedevano da tempo. La Q Arena è gremita all’inverosimile, trabocca gioia e attesa. Tifosi accorsi da ogni dove, un oceano in tumulto, un organismo vivo in perenne movimento. Ognuno sente di essere parte di un insieme, di un evento, di qualcosa che va ben al di là del parquet della palla a spicchi. Si respira un’aria magica, elettrica, dove tutto (ma proprio tutto!) è possibile. Nessun limite alla realtà. Nessun perimetro ai sogni. Nessun argine alle aspettative.
Fischio d’inizio. Breve silenzio. Boato dei tifosi. Palla contesa a centrocampo da due giganti.
Il sesto incontro si materializza nel “presente” per poi evaporare subito nel già “passato”.
Cleveland si fionda immediatamente nell’iperspazio. Attacca, morde, fugge ed esercita un pieno controllo (mentale e fisico) del primo quarto. Non vuole dare il minimo respiro agli avversari. Ha intenzione di stordire senza soluzione di continuità. A soli 54 secondi dalla prima sirena, il parziale è spaventoso: 31-9 per i padroni di casa. Golden State abbozza un’imbarazzante controffensiva ma appare ridicola e inconcludente. L’MVP della regular season, Steve Curry, racimola solo 1/9 al tiro e commette numerosi falli che rallentano (troppo) la proverbiale circolazione di palla della squadra di Oakland. Allo scadere della prima frazione, i Warriors portano a casa solo 11 punti (il loro peggior quarto di sempre).
Secondi 15 minuti di gioco. La musica cambia… ma solo per poco. Curry si schiarisce la voce e prova ad intonare la sua marcia trionfale. Nulla di esaltante! Siamo abituati a prelibatezze sportive così raffinate da questo giocatore (fuori dall’ordinario) che queste lasciano solo un deludente amaro in bocca. Leggermente meglio di Gara 5 ma non all’altezza del suo ingombrante nome. Curry raccoglie 15 punti mentre Green incolla il risultato al 48-36. Siamo a circa 5 minuti dal riposo. Si sa, i minuti (e ancor di più i secondi) nel basket possono diventare pesanti come il piombo e infiniti come l’eternità. Il Triumvirato di Cleveland (“King” James spalleggiato da “Sir” Irving e “Iron” Thompson) decide di salire in cattedra e fissare lo score sul 59-43 (+16 punti per i Cavs). Devastanti!
“One more win!”. “One more win!”. “One more win!”.
I supporter sono in delirio. I sorrisi dilagano. L’entusiasmo alle stelle.
“Ancora una vittoria!” chiede il pubblico a gran voce. Ha il diritto di crederci!
Le percentuali degli Splash Brothers (e compagni) sono decisamente sottotono per un collettivo che ha frantumato diversi record lungo il cammino della regular season: un pessimo 29.5% dal campo e uno scarso 5/21 da tre. A peggiorare le cose, nel terzo quarto, poi, ci pensa il “Beach Boy” Love: affonda il coltello e sancisce il doloroso 70-46. Steph Curry tenta il tutto per tutto ma non riesce a venirne capo. Continua ad innervosirsi mentre i suoi falli personali aumentano. Klay Thompson suona la riscossa (almeno ci prova!), infilando 8 punti di fila. Flebili speranze prendono timidamente forma all’orizzonte.
Ultimo periodo: 80-71. Cavs ancora in vantaggio. Mentre Cleveland ruggisce e fa paura, Golden State si ritrae, cercando un’improbabile “exit strategy”. Il dominatore dei cieli, LeBron James, pone il personale sigillo sullo spazio aereo sopra i canestri. Nulla può accadere senza la sua diretta supervisione. Barbosa sigla l’86-79 a poco più di 8 minuti dalla conclusione. Steph Curry è sempre più nervoso (“a giusta ragione” dirà coach Kerr “data la mole di falli subiti non sanzionati!”). A soli 4 minuti dalla fine accade l’irreparabile: è costretto ad uscire per eccesso di falli personali. Il lancio del paradenti è la resa definitiva di Golden State. Intanto un omaccione, grande e grosso, ha deciso che stasera vuole fare il bis: James salta, corre, schiaccia, macina punti, assiste Thompson per il 97-84 e poi (come un fulmine) corre a stoppare Curry con tutta la sua rabbia. Una mostruosità in campo: 41 punti (per la seconda volta di fila, dopo Gara 5), 8 rimbalzi e 11 assist!
Cleveland Cavaliers – 115 vs Golden State Warriors 101
Il Re e i suoi Cavalieri potrebbero essere la prima squadra al mondo a ribaltare la serie delle Finals – dall’1-3 (negativo) al 3-3 (pareggio) – per poi vincere in campo nemico (4-3). Le due precedenti occasioni furono dei Knicks (nel ’51) e dei Lakers (nel ’66): entrambe sfumate in un nulla di fatto, avendo perso Gara 7.
“Follow my lead!” (seguitemi) ha più volte ripetuto LeBron nelle ultime Gare.
“One more win!” (ancora una vittoria… una sola) risponde fiera la sua gente!
Bello e coinvolgente il coro unico dei tifosi come incitamento dei propri giganti. Un vero esempio per tante discipline sportive.