NBA Finals 2016: la riscossa dei Cavalieri!

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LeBron James, Harrison BarnesLa Storia insegna che, nonostante i “corsi e ricorsi” si rincorrano instancabilmente tra loro, alla fine nulla è mai come sembra e nulla accade mai per caso. La Storia racconta di gesta eroiche di uomini capaci di affrontare torbide difficoltà senza arretrare di un passo, senza versare una lacrima di dolore. La Storia scolpisce nella pietra momenti epici in cui ardimentosi Cavalieri, dotati di inesauribile coraggio, tra urla assordanti e fatiche indicibili, riescono ad opporre un muro invalicabile alla trionfale avanzata del nemico.

Oakland, Oracle Arena. Due notti fa. Una chiassosa valanga giallo-blu è pronta a festeggiare la conquista del secondo titolo NBA consecutivo prima ancora di averlo realmente agguantato. Tutto è pronto! Tutto è troppo maledettamente perfetto per non essere vero!

Golden State si è confermato nel tempo un collettivo nettamente superiore a qualunque altro team d’Oltreoceano. Ottimo controllo del gioco, grande visione strategica, possessi solidi ed efficaci e un’incredibile velocità nella circolazione della palla permettono ai sui giocatori di essere sempre nel posto giusto al momento giusto, di non farsi cogliere impreparati all’appuntamento con il canestro. Difesa coriacea e triple stordenti sono le altre due armi di distruzione di massa dell’arsenale atomico dei Warriors. Stavolta, però, nessuna di queste misure è stata adeguata per imbavagliare una squadra aggressiva (fin dai primissimi istanti di gioco) come quella di Cleveland. La difesa di Golden State ha perso l’energia di Green e la fisicità indiscutibile di Bogut. Curry e Thompson devono accontentarsi di un ridicolo 11/25 da tre mentre 3/17 è toccato al resto della squadra. Con questi numeri, onestamente, Gara 6 era inevitabile!

“King” James e “Sir” Irving provano a riscrivere la Storia della NBA, cercando di arrivare lì dove nessuno ha mai osato prima. Diventeranno le nuove icone leggendarie, i primi al mondo ad aver ribaltato (a proprio vantaggio) un parziale di serie negativo di 3-1? Ci piace credere di sì! Intanto un piccolo-grande passo in tale direzione è stato compiuto, portando il conteggio sul 3-2! Dopo l’onta della sonora sconfitta subita sul parquet di casa, i Cavs sembravano destinati ad interpretare il ruolo di eterni secondi. Questa volta, però, qualcosa é davvero cambiato: dopo un primo quarto ad appannaggio dei padroni di casa (29-32), gli altri scivolano via sotto l’egidia degli sfidanti (32-29; 32-23;19-13).

Final score: Cleveland Cavaliers – 127 / Golden State Warriors – 97

LeBron James diventa superlativo, una vera e propria divinità piovuta dall’Olimpo, quando scende in campo con quella lucida furia negli occhi di Gara 5. Nella prima frazione di gioco attacca ripetutamente, instancabilmente, dolorosamente. Un rullo compressore, una potenza della natura, racimolando 25 punti. Nella ripresa attiva meccanismi sconosciuti ai più, mettendo in moto i compagni in modo impareggiabile (16 punti, 7 assist). È il “Capitano, mio Capitano” indiscusso di questi Cavs, li ha trascinati con assertiva leadership alla vittoria di Gara 3 e ha sfoderato un carisma strabiliante in Gara 5.

Durante l’ultimo scontro, il suo sguardo è stato indirizzato volutamente “altrove”, lontano dal caos che lo circondava, delle urla che lo sbeffeggiavano e dei cartelli che lo ritraevano neonato e piangente (Go Away Baby James!); i suoi occhi verso un’altra dimensione, quella dove possono solo i Grandi dello sport per raggiungere quel mistico distillato di concentrazione pura. In Gara 5 il Re ha affrontato e sconfitto i suoi demoni personali, le sue subdole debolezze, le sue paure ancestrali, gli assordanti “buuu” della Oracle Arena (che si impennavano al cielo appena toccava palla), la stoica difesa del titanico Iguodala, addirittura le maglie con le maniche (strappate con foga in regular season). Fenomenale! E’ riuscito a sfoderare una prestazione al di fuori di ogni schema, ponendo la sua firma su ben 41 punti, con 4/8 da tre e collezionando 16 rimbalzi , 7 assist, 3 palle rubate e 3 stoppate. Secondo ESPN, statistiche del genere non si registravano da oltre un trentennio in una finale NBA.

Ma la forza motrice dei Cavs è stato un potentissimo motore a due cilindri: stellare la prova di “Magic” Kyrie Irving, 41 punti e un ottimo 17/24 nei tiri da due. Irving non si è mai dato per vinto, lottando su ogni palla e credendo in ogni tiro. Con questa strabiliante prestazione è riuscito finalmente ad affermarsi come individualità a se stante, scrollandosi di dosso il poco simpatico ruolo di “younger brother” di LeBron. Mai nella storia delle Finals due cestisti della medesima squadra avevano abbattuto violentemente il muro dei 40 punti a testa. Entrambi hanno totalizzato l’imbarazzante cifra di 82 punti sui 127 totali portati a casa, il 65% dei punti complessivi. Brividi!

Cosa resta degli “Splash Bros”? In queste partite Thompson sta emergendo molto più di Curry. Si fatica a credere? No, non direi. Sono i numeri a parlar chiaro, formulando un giudizio duro da digerire: giovedì sera Klay ha raccolto ben 37 punti e 6/11 dal campo mentre Steph non è stato capace di fare la differenza, ben castrato nella pressante rete difensiva, chiudendo con 25 punti e 8/21 al tiro. Sono mancate le sue micidiali triple da cecchino, è mancata quella concentrazione che ha sempre svolto una funzione di collante tra le varie anime della squadra.

Al di là di ogni analisi tecnica o considerazione sportiva, i Cavs sono riusciti ai piantare il seme del dubbio e il fertilizzante della paura nel cuore dei Warriors. Caduta in ginocchio nelle prime gare di queste Finals, sanguinante e agonizzante, Cleveland ha trovato la forza di non mollare, di non andare alla deriva, di rialzarsi e continuare a combattere fino all’ultimo spasmo muscolare. Ha mostrato che loro sono i Cavalieri che tutti attendevano, che loro sono ancora lì, con spade, cappe e mantelli per proteggere il loro onore, dissetare la loro brama di vittoria e, superando le difficoltà, arrivare alle stelle. “Per aspera ad astra!”.

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Francesco Pumpo

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