C’era una volta un manipolo di Cavalieri coraggiosi, pronti a combattere la cupa maledizione di una città incapace di vincere. C’era una volta una falange di Guerrieri, martellante macchina da guerra, travolgente e avvolgente. C’era una volta un Prescelto, la sua Promessa e un Generale dalla faccia da bambino. C’era una volta… e tornerà ad esserci, di nuovo, tra circa un anno, con nuovi protagonisti e nuove storie da raccontare. La favola di quest’anno, venata da gioie e dolori, è giunta all’inevitabile epilogo, al tanto amato-odiato “The End”.
I Golden State Warriors vengono incoronati Campioni dell’NBA 2015, vincendo 105-97 contro i Cleveland Cavaliers tra le ovazioni entusiaste dei tifosi e il grande rispetto degli avversari.
Sono stati i migliori per tutta la durata della stagione (su qualunque parquet degli States) e tali si sono confermati fino alla fine della loro marcia trionfale (Playoff e Finals incluse nel prezzo). Erano uun’ottima squadra l’anno scorso, sono diventati un Martello da Guerra quest’anno. Steve Kerr (cinque anelli da giocatore, tra Bulls e Spurs, oltre alle esperienze come GM e apprezzato analyst per ESPN) sapeva cosa stava facendo, apportando microinterventi chirurgici in quei punti nevralgici per rendere gli Warriors un team fantasioso, efficace e famelico. I Cavs, dall’altra parte, hanno cercato di impensierire i diretti avversari a più riprese (a volte riuscendoci), imparando, cambiando e cercando, soprattutto nelle avversità, i miglioramenti necessari. I Playoff hanno magnificato l’astuzia di Stephen Curry e la poderosa grandezza di LeBron James: due Giganti tra i Giganti che parlano un linguaggio ancora sconosciuto a molti giocatori!
Gli Warriors hanno conquistato il titolo con un percorso netto, provenendo dalla tremenda Western Conference: dopo aver battuto New Orleans e Memphis, hanno faticato a chiudere la serie contro Houston, presentandosi alle Finals come favoriti. Cleveland, viceversa, era stata data per morta dopo l’infortunio Kevin Love al primo turno contro Boston; poi, superata Chicago nella serie più difficile dei loro Playoffs, hanno smantellato facilmente quel che restava degli Atlanta Hawks, arrivando alla fine con pochi onori dei pronostici ma con la convinzione di poterci provare.
Gara 6 ha seguito un copione ormai consolidato: una partita equilibrata nelle fasi iniziali, in cui è emersa (poi) la maggior forza offensiva di Golden State quando Cleveland ha iniziato a sentire la fatica verso la fine della partita. Come nelle due precedenti sfide (Gara 4 e 5), la franchigia di Oakland è rimasta, quasi sempre, avanti nel punteggio nonostante un inizio contratto da parte di entrambe le squadre (con gli Warriors che sbagliano tiri aperti e i Cavs che faticano ad arrivare alla conclusione). La scelta di coach Blatt nel benedire la presenza di Mozgov in campo non paga: Iguodala trova spazi enormi e non perdona (verrà eletto MVP delle Finals). Dopo il primo quarto i Golden State (11 assist su 12 canestri, parziale di 26-8) è già a +13 (15-28) con 9 palle perse dei Cavs e 3 errori al ferro di James. Il 6/22 degli Warriors nel secondo quarto e il terzo maledetto fallo di Iguodala sembrano riaprire la partita. Si va al riposo con un dato davvero sorprendente: ben 19 dei 45 punti californiani sono emanazione diretta di 13 palle perse da Cleveland.
Il 47-45 per i Cavs all’inizio del terzo quarto dura appena il battito d’ali di una farfalla. Con un repentino parziale di 8-0, gli Warriors riprendono il controllo del match, chiudendo il periodo 61-73. Nell’ultima frazione di gioco tutti sperano in un’isterica e incontrollata reazione dei Cavs. Le Sacre Scritture del Basket hanno previsto “altro” per questa sera. Non è e non sarà la gara del trionfo inaspettato. I Cavs capiscono, lentamente, di aver mancato l’appuntamento con la Storia, arrivando quel soffio in ritardo da fallire l’incontro. Golden State sferra colpi micidiali, uno dietro l’altro, portandosi su un parziale dolorosissimo di +15 (79-94). Prima della fine, però, c’è lo spazio necessario per un’imprevista onda d’urto che si propaga dall’Ohio alla California: due stratosferiche triple di Smith spingono Cleveland, con veemente arroganza, a credere nell’incredibile, permettendo loro di alitare direttamente sul collo degli avversari. A soli 37’’ è un risicato -4 (97-101) a separare le due legioni cestistiche. Pare proprio che il Caos abbia deciso di divertirsi a scompaginare le carte del destino disposte sul tavolo… ma è solo apparenza. Gara 6 si conclude con uno splendido 105-97. È festa per gli Warriors, come è giusto che sia: squadra vera, completa e solida.
Quasi la metà dei punti della squadra californiana reca le firme inconfondibili di Curry e Igoudala (25 per parte) mentre non basta l’ennesima dimostrazione di superiorità di Re LeBron con i suoi 32 punti. Lo scorer consegnerà agli almanacchi sportivi del futuro il seguente ruolino: da una parte James 32 punti (18 rimbalzi, 9 assist), Smith 19 punti (5/8 da 3), Mozgov 17 punti (12 rimbalzi) e T.Thompson con 15 punti (e 13 rimbalzi); dall’altra, Iguodala 25 punti (e MVP Finals), Curry 25 punti (6 rimbalzi, 8 assist), Green 16 punti. Il titolo e il relativo Larry O’Brien Trophy ritornano ad Oakland, dopo 40 anni, preceduti da una Oracle Arena gravida di ventimila tifosi, accorsi da ogni dove, per assistere al match sui maxischermi.
Per un istante, breve ma molto intenso, era sembrato possibile che questa inedita serie potesse santificare campioni NBA i Cleveland Cavaliers, una formazione lungamente criticata per le fagiolate difensive e la disfunzionalità in attacco e che, con il capitolare di Love e Irving, si è rivelata tignosa e quadrata soprattutto nella propria metà campo. Alla fine alza il trofeo al cielo Golden State, il team che è arrivato a questo traguardo programmando con certosina pazienza, costruendo con estrema costanza. Hanno dimostrato che si può vincere l’anello anche giocando con cinque “piccoli”.
Il mio pronostico, alla vigilia di Gara 1, era stato a favore dei Cavaliers, specificando che le Finals non sarebbero state affatto un sentiero facile e agevole. Non si può avere tutto dalla vita: una parte delle previsioni sono rimaste disattese (la vittoria è andata a Curry & Co.) mentre la rimanente previsione ha fatto centro (serie al cardiopalma dall’inizio alla fine). Ora non resta che vivere nel ricordo di ciò che è stato e crogiolarsi nel sogno di ciò che verrà!