Scatta questa notte a Pittsburgh la finale 2017 per la Stanley Cup, al meglio delle sette partite come tutti i playoff della NHL. Playoff splendidi una volta di più, va detto, che stanno celebrando nel migliore dei modi il centenario della lega e stanno confermando la postseason dell’hockey come uno spettacolo che, per l’equazione emozioni/durata, supera quello degli altri campionati professionistici statunitensi.
A disputarsi la Stanley Cup due squadre agli antipodi, per tipo di gioco e favori dei pronostici alla vigilia dei playoff: Pittsburgh Penguins, campioni in carica e seconda testa di serie a Est, e Nashville Predators, alla prima finale della loro storia e peggior classificata tra le otto occidentali. Il paradosso, però, è che Nashville ci è arrivata con molta meno fatica di Pittsburgh, a questa finale, rifilando uno sweep a Chicago al primo turno e poi superando per 4-2 sia i St. Louis Blues che Anaheim. I Penguins hanno avuto un tabellone più difficile, dobbiamo concederglielo, che dopo la passeggiata iniziale su Columbus li ha costretti a gara 7 sia contro Washington (una serie leggendaria, meritevole di un romanzo) che contro Ottawa, eliminata solo al secondo overtime dell’ultima partita. In queste due autentiche battaglie, i Penguins sono stati capaci un paio di volte di ribaltare il tavolo e risorgere da momenti difficilissimi, come la commozione cerebrale a Crosby contro i Capitals e la crisi di Fleury con il successivo subentro di Murray, episodio che tanto ricorda la cavalcata al titolo dello scorso anno.
Dopo una stagione e una postseason così lunghe e impegnative, entrambe le contendenti devono fare i conti con assenze importanti: Letang e Hornqvist per Pittsburgh, Ryan Johansen per Nashville, che potrebbe però recuperare già da gara 1 il suo capitano, Mike Fisher, anche se non è dato sapere a quale livello di forma. I Penguins non sono più la macchina offensiva dello scorso anno, malgrado un Malkin in forma scintillante e un Crosby ripresosi bene dalle botte prese dai Capitals, ma hanno lo spessore caratteriale di chi sa di essere forte, al di là dei numeri e di tutto il resto. Mike Sullivan, il loro coach, si sta confermando bravissimo (e fortunato) nel pescare alternative dall’extra roster e può contare su terze e quarte linee che, quando il disco scotta, hanno il carattere e la classe per ergersi a protagoniste, vedi la doppietta di Chris Kunitz in gara 7 contro Ottawa. La difesa è il reparto più “scoperto”, avendo perso con Letang il proprio leader caratteriale e l’uomo con più minutaggio sul ghiaccio. Maatta sta salendo molto, anche offensivamente, e intorno a lui Cole, Schultz e Daley, ma fisicamente potrebbero pagare dazio contro le prime due linee dei Predators, piene di giocatori durissimi da contenere, come il figlio d’arte Filip Forsberg, Viktor Arvidsson e il già citato Fisher. E buon per loro che Johansen sia fuori dai giochi, altrimenti il gap sarebbe stato ancora più ampio. Sulla porta dei Penguins abbiamo già detto: partirà titolare il 23enne Matt Murray, fresco e carico dopo una stagione tormentata dagli infortuni, al posto di quel Fleury che ha comunque contribuito in modo assolutamente decisivo alla vittoria su Washington.
I Predators arrivano a questa finale nella condizione psicologica ideale: non hanno nulla da perdere, hanno la rabbia di chi sa di essere sfavorito e sono certamente meno stanchi dei loro avversari. Nel loro gioco la componente fisica ha preminenza assoluta: ritmi alti, scontri comunque e dovunque e marcature durissime. Un modo di giocare antico finché vogliamo ma sempre efficace, se hai i giocatori giusti per farlo, e Nashville li ha. Il miglior interprete, quasi superfluo dirlo, è Subban, difensore straordinario in entrambe le fasi di gioco (2 gol e 8 assist in attacco), l’uomo capace di far sentire la pressione a tutto campo. Lui e Mattias Ekholm formano una coppia di difensori da cui è meglio girare alla larga, in questi playoff: al primo turno hanno azzerato gente come Toews, Kane, Hossa e Panarin, contro Anaheim hanno asfaltato Getzlaf, che al turno precedente contro Edmonton aveva fatto sfracelli, facendolo passare da 15 punti realizzati alla miseria di 4. Per affinità di taglia fisica, è facile prevedere che Subban ed Ekholm vengano piazzati contro la linea di Malkin e Kessel, lasciando così Josi ed Ellis a prendersi cura di Crosby e Guentzel, più agili e veloci. E qui Crosby, se sta bene, potrebbe fare sfracelli, considerando però che Nashville gli darà la caccia, sapendo quanto il capitano dei Penguins sia poco incline alla rissa. In porta, per i Predators, il grande Pekka Rinne, di 11 anni più vecchio del suo omologo Murray, ma malgrado questo alla prima apparizione in una finale, autore finora di una postseason strepitosa, culminata nelle 38 parate con cui ha sigillato la vittoria in gara 6 contro Anaheim.
Finale apertissima, insomma, malgrado i pronostici della vigilia siano favorevoli ai Penguins, più esperti su questi palcoscenici, con il vantaggio del campo (ospiteranno le gare 1, 2, 5 e 7) e con la motivazione extra di una doppietta che nessuno realizza da vent’anni (parliamo dei leggendari Detroit Red Wings di Steve Yzerman, Slava Fetisov & Co.). Già decisive, a mio parere, saranno le prime due partite: se Pittsburgh dovesse fare bottino pieno, sarà difficilissimo toglierle la leadership. Se invece a Nashville dovesse riuscire almeno un colpaccio, allora la serie potrebbe andare davvero per le lunghe. Infine, l’immancabile pronostico, cui non mi sottraggo neppure in questa stagione davvero di magre soddisfazioni: Pittsburgh campione per 4-2. E tutti i tifosi dei Penguins sono autorizzati all’apotropia…