Prima di tutto, persone

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Le recenti dimissioni di Cesare Prandelli dall’incarico di allenatore della Fiorentina, hanno riacceso i fari sull’emotività cui talvolta sono alle prese indistintamente anche personaggi sportivi, all’apparenza indenni da certi aspetti.

Cesare Prandelli, recentemente dimessosi dal ruolo di allenatore della Fiorentina

Non mi sorprenderebbe se alcuni tuttologi, dapprima commissari tecnici della nazionale e adesso virologi portatori di presunti studi scientifici, pensassero che quella di Cesare Prandelli sia stata una decisione presa secondo l’andamento in campionato, in lotta per evitare la retrocessione, o parole scritte dalla corazza dorata del tanto denaro guadagnato nel corso di una carriera prima come calciatore, poi come allenatore.
Solo che nelle toccanti parole della sua lettera di dimissioni usata per salutare, ringraziare tifosi e società, c’è in realtà molto di più: la liberazione da una pesantezza che non gli dava più le giuste soddisfazioni e, probabilmente, un vuoto al momento non colmabile col calcio, disciplina in cui Prandelli ha recitato un ruolo da attore principale.
Delusioni dietro speranze forse anche personali accumulate nel tempo e ad un certo punto riemerse, così forti da far prendere una decisione giusta per sé stessi e nella lodevole conseguenza economica a favore del club, diversamente dai tanti che trincerandosi preferiscono l’esonero per continuare a percepire il compenso fino a scadenza del contratto.
Qui c’è tutto il coraggio di quelle persone consapevoli di togliersi un peso, ma anche lucidamente degli inevitabili strascichi, nel caso di Prandelli una probabile fine della carriera d’allenatore.
Un uomo che, ricordiamolo, dopo tanta gavetta nel 2004 viene ingaggiato dalla Roma, all’apice in quel momento, e dopo poche settimane, si dimette per seguire da vicino la moglie gravemente malata.
Poi il ritorno nella stagione 2005-06 alla guida della Fiorentina targata Della Valle, in un periodo importante per i viola, stabilmente tra le prime posizioni in campionato, con un blasone europeo e con un rapporto speciale con la piazza. Tifosi viola che, in occasione del decesso della moglie, saranno in 40.000 mila al Franchi

il 2 dicembre 2007, per omaggiarlo con un assordante silenzio segno di affetto e vicinanza, lanciando vicino la sua panchina delle rose in un gesto colmo d’amore.
Il passo successivo è la nazionale italiana, alle prese in quel periodo col post-Lippi ed il mondiale sudafricano, concluso come peggio non si poteva da detentori della coppa, con l’esclusione al primo turno e ultimo posto nel girone con Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda.
Si riparte dal giovane Balotelli, da Cassano finalmente maturo, Buffon capitano dopo il ritiro di Cannavaro, qualche superstite di Berlino come Pirlo e Barzagli che diventano i perni della nuova generazione, importante il codice etico secondo cui un comportamento anti-sportivo avrebbe comportato l’esclusione di qualsiasi calciatore da un’eventuale convocazione.
La nazionale di Prandelli è all’altezza e agli Europei del 2012 ci ferma solamente l’inarrivabile Spagna.
Al successivo mondiale brasiliano le aspettative sono lecite, ma ancora una volta siamo eliminati alla prima fase. Prandelli si dimette e inizia un lungo girovagare, con le esperienze al Galatasaray, Valencia e Al-Nasr, fino al ritorno in Italia, al Genoa. Torna infine alla Fiorentina, dove guardandosi allo specchio sceglie di dire basta, non riconoscendosi più in questo calcio, passato in pochi anni dai commenti al bar ai leoni da tastiera.
Una vicenda che per certi versi ripercorre anche le scelte di altri personaggi, come ad esempio Marco Van Basten, che dopo essere stato C.T. dell’Olanda, ha allenato in patria l’Ajax, l’Heereveen e l’Az Alkmaar per poi smettere; oggi è ambasciatore del calcio Uefa e opinionista tv.
Infine come non dimenticare il motociclista australiano Casey Stoner, vincitore della MotoGp nel 2007 con la Ducati e nel 2011 con Honda ritiratosi a soli 27 anni.

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Andrea La Rosa

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