Questione VAR: chi controlla il controllore?

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Quis custodiet ipsos custodes? Chi controlla i controllori? Lo scriveva Giovenale quasi duemila anni fa, quindi la questione è, a dir poco, annosa. Roba che in tempi molto più recenti ci hanno fatto su perfino un fumetto, “Watchmen”, tanto per rinfrescarci la memoria sul problema. Senza addentrarci in profonde, noiose e, forse, utopistiche riflessioni sul controllo di chi detiene il Potere (quello con la P maiuscola), in questa sede ci limitiamo a qualche riflessione sul potere del VAR (Video Assistant Referee) nel calcio, potere derivante dagli strumenti tecnologici a sua disposizione.

Nelle prime due giornate di Serie A è stato chiamato spesso in causa, e nella maggior parte dei casi se l’è cavata bene, limitando situazioni in cui la decisione arbitrale sarebbe stata errata. Due casi, però, hanno scatenato le critiche: un rigore contro la Juventus in cui il VAR non si è accorto di un precedente fuorigioco all’avvio dell’azione del Genoa e il contatto tra Perotti e Skriniar in Roma-Inter, malvisto dall’arbitro e colpevolmente ignorato dal VAR. Da domenica scorsa si sono iniziate a leggere scempiaggini di ogni tipo sui media, da chi vorrebbe tornare indietro e azzerare tutto a chi al contrario vorrebbe estendere l’intervento del VAR a tutte le situazioni e in tutte le zone del campo, rendendo l’arbitro solo una sorta di mero applicatore di ciò che viene deciso nella stanza dei bottoni. La soluzione, come sempre accade, non sta nei due estremi, ma a prendere quello che viene fatto negli sport dove il sistema è rodato e funziona, condendo il tutto con un pizzico di inevitabile elasticità e buonsenso.

1- Quando e chi.
Il VAR dovrebbe intervenire d’ufficio in tutte le segnature (come in NFL e NHL), nelle espulsioni dirette, in occasione di condotte violente sfuggite all’arbitro, palloni sulla linea di porta o scambio di persona nel comminare i cartellini. In più, andrebbe concessa una richiesta di VAR a ciascuno dei due allenatori (come in NFL, MLB e NHL), da utilizzare solo per interventi violenti degli avversari o in area di rigore. Se l’allenatore trova ragione nel VAR, mantiene il diritto di chiamarne un altro, altrimenti lo perde per il resto della gara. Prendiamo il caso-Perotti: se l’arbitro ha dubbi, chiama lui stesso in causa il VAR. Se è certo di quello che ha visto e assegna un calcio d’angolo (com’è accaduto nella realtà), allora può intervenire Di Francesco è chiedere lui l’intervento del VAR che potrebbe confermare o smentire l’arbitro. Se neppure la squadra ipoteticamente “lesa” dalla decisione arbitrale interviene, vuol dire che la decisione arbitrale sta bene anche a loro, ça va sans dire.

2- Qualità dell’analisi.
Questa è la parte in cui la tecnologia non può essere d’aiuto; puoi avere i fotogrammi più chiari del mondo, ma se a vederli c’è un incompetente o, peggio ancora, un ufficiale di gara in malafede, il risultato sarà sempre falsato. Prendiamo il caso della Juve: l’azione andrebbe ovviamente rivista dall’inizio. Se non lo fanno sbagliano, ma lì per lì l’errore resta, fermo restando che gli ufficiali VAR colpevoli dell’errore vanno puniti esattamente come gli arbitri che sbagliano sul campo. Al problema della qualità non c’è una vera e propria soluzione, ma si possono ridurre al minimo i rischi creando una “crew” di tre persone (attualmente sono due) che vedono le immagini del VAR e decidono a maggioranza, riducendo così l’impatto del singolo uomo. Va da sé che se la squadra X manipola due arbitri della crew avrà comunque la meglio nelle situazioni chiave, ma questo è un vicolo cieco. Un’ulteriore garanzia di imparzialità sarebbe l’idea di non collocare i centri VAR fuori da ogni singolo stadio, ma creare una “situation room” centralizzata, come accade nella NHL ad esempio, in cui far lavorare contemporaneamente tutti i vari gruppi di VAR, lontani da qualsiasi tipo d’ingerenza dell’ambiente circostante (e nel medio termine si ridurrebbero anche i costi).

3- Durata della partita.
In molti si sono lamentati dell’allungamento della partita a causa degli interventi VAR, dimenticando (o fingendo di dimenticare) quando l’arbitro deve concedere lunghi recuperi per compensare tutte le perdite di tempo derivanti da finti infortuni, zuffe, discussioni infinite alla concessione dei rigori, portieri che rimettono la palla in gioco con lentezza straziante e chi più ne ha più ne metta. Credo che ogni sportivo in buonafede e persona di buonsenso preferisca recuperare 10′ per degli interventi VAR che hanno evitato scempiaggini arbitrali piuttosto che risparmiare qualche minuto e tenersi un risultato falsato. Ad oggi, i tempi di attesa potrebbero anche essere utilizzati come timeout dagli allenatori, ma se domani dovesse essere loro data la possibilità di chiamare il VAR andrebbe tolta la funzione timeout, per evitare che il VAR possa essere chiamato solo come scusa per interrompere un momento di difficoltà e riordinare le idee dei propri uomini.

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Gianluca Puzzo

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