Uno dei tre pilastri della Scozia insieme al sistema giuridico e alla Chiesa era venuto a mancare, i Rangers per molto tempo sono spariti dai radar del calcio scozzese, ma cosa è mai successo ad una squadra gloriosa di cui non posso non scrivere qualcosa in questi giorni che l’hanno finalmente vista protagonista di un grandissimo ritorno: con la vittoria del Ladbrokes Championship, la seconda divisione del campionato nazionale, lo squadrone torna alla Scottish Premier League dopo una serie di promozioni negli ultimi quattro anni.
La risalita è iniziata nel 2013 con la vittoria della terza divisione dove ci fu il mitico scontro nel derby originale di Glasgow, contro il Queen’s Park, il più antico club scozzese, che disputò la prima stracittadina contro i Gers nel 1879, ebbene sì, nove anni prima dello storico Old Firm.
La grande cavalcata si è fermata la passata stagione nella finale dei play-off promozione contro l’Hibernian, terminata con calci e pugni in un clima di tensione altissima da “resa dei conti”.
I Rangers sono tornati dove devono stare, ma se avessimo considerato il clima che si era creato ad inizio stagione non avremmo scommesso un centesimo.
Ambiente incandescente e depresso ed in più affidato ad un allenatore dalla poca esperienza, Warburton.
Con il nuovo tecnico inglese la dirigenza vuole sperimentare la novità affiancandogli David Weir (veterano dell’ambiente), fondamentale guida per districarsi nella fitta rete della tradizione e delle resistenze dell’ambiente all’innovazione, qui la neofobia fa da padrone ed è difficile sradicarla.
Sul mercato si è rivolto all’ambiente che conosceva meglio, la serie B inglese e con l’aiuto di Weir, il tecnico ha integrato i nuovi arrivati con la vecchia guardia.
La Glasgow protestante, ad oggi, festeggia ma con giudizio, il lustro precedente ha snervato l’ambiente saturandolo di veleni e i tifosi dei Gers ne hanno viste troppe per permettersi il lusso di entusiasmarsi.
La parabola assomiglia a ciò che la Juventus ha dovuto passare, tuttavia da noi la Signora è stata “rispettata” facendola partire dalla serie B, facendo apparire il suo calvario in miniatura rispetto a quanto questo monumento calcistico scozzese ha dovuto soffrire sulla propria pelle.
Non è facile raccontare ai tifosi quali artifizi contabili e frodi hanno messo sul lastrico uno dei pilastri della Scozia, quando si va allo stadio e nemmeno si è in grado di riconoscere i giocatori che vanno in campo subentra un senso di disorientamento e di vertigine che si acutizza nel momento in cui si ripensa a Sir David Murray che, nei bei tempi andati, annuncia con scioltezza l’acquisto di Mikhailichenko, Brian Laudrup e Gascoigne, ma il tifoso non poteva né voleva pensare a cosa quei nomi altisonanti avrebbero portato: un indebitamento intorno ai 30 milioni di sterline annui e lo svuotamento di una istituzione.
In tal caso il tifoso non ha interesse a contestare o evidenziare gli sbilanciamenti economici del club, il tifoso incamera l’ennesimo trofeo noncurante di quanto potrà costargli, i ricordi corrono verso la magnifica creatura cragnottiana, maestra nel far brillare gli occhi ai suoi sostenitori con le conseguenze che tutti noi conosciamo.
Il futuro del calcio è il fatturato, è necessario prima fare risultati per creare fatturato e se lo crei puoi permetterti altro e se arrivi ad altro puoi vincere, non esiste il percorso contrario.
Il giorno che i tifosi smetteranno di sostenere le proprie squadre solo “di pancia” e avranno la capacità critica di rendersi conto che il tenore economico del club e le relative movimentazioni in entrata vanno oltre le proprie reali possibilità avremo meno Rangers in giro per il mondo ed un calcio meno creatore di illusioni.