Non scrivevo di pallavolo da diversi anni, e mi dispiace tornare a farlo in occasione di una sconfitta della nostra nazionale maschile, battuta in quattro set dalla Russia nella finale degli Europei. Una sconfitta importante e perfino dolorosa per com’è maturata, visto che sarebbe bastata più decisione, più “fame” di palloni per trascinare almeno al quinto set i campioni olimpici in carica. La Russia è uno squadrone, ed è uno spettacolo per intenditori vederla giocare, poco appariscente ma molto concreta, ha avuto il grande merito di mantenere inalterate le caratteristiche storiche della sua scuola (tecnica e potenza, muro e attaccco) aggiungendovi però quello che le era sempre mancato, la difesa. Oggi ha vinto lì la partita, tirando su palloni possibili e impossibili, sbagliando pochissimo e cucendo gioco con pazienza e grinta instancabili. Nominare Pavlov o Muserskiy come mvp mi pare fin troppo banale, quindi scelgo il libero, Alexey Verbov, protagonista di molte giocate al limite dell’umano, come non ne vedevo dai tempi del brasiliano Sergio.
Veniamo all’Italia. Si può essere contenti di una sconfitta? In linea generale sì: abbiamo perso contro una squadra più forte, più anziana e più esperta, facendola sudare per due set e mezzo. Nello specifico, però, bisogna capire bene in cosa siamo stati battuti, per fare in modo che la nostra più giovane età possa dare frutti futuri, perché ad arrivare secondi ci si stufa presto. A livello individuale abbiamo avuto una conferma assoluta, la classe mondiale di Travica in regia, e alcune belle scoperte, prima tra tutti quella di un opposto vero, Vettori, efficace e “assassino” come non vedevo in azzurro dai tempi di Sartoretti (di Zorzi e Giani non parliamone nemmeno). A proposito di Vettori, mi sto ancora chiedendo il senso del cambio fatto da Berruto nel quarto set tra lui (migliore in campo) e Zaytsev (freddo e completamente fuori partita)… mah. Tornando alle maglie azzurre, mi pare che stasera sia mancata innanzitutto un po’ di convinzione: siamo scesi in campo carichi di timori reverenziali, e ne abbiamo ricavato un set e mezzo di pallonate in faccia. Poi ci siamo accorti che con i russi ci si poteva anche giocare e allora abbiamo preso a fare le cose per bene, toccando palloni a muro, lavorando di fino i palloni sulle loro mani anziché tirare botte a occhi chiusi. Però non lo abbiamo fatto fino in fondo, e abbiamo perso senza neppure la soddisfazione di far tirare il collo ai russi fino al tie-break.
In battuta si sono visti errori orripilanti, anche sulle float, errori di concentrazione prima ancora che tecnici: i due falli di piede di Savani o il colpo fuori di 2 metri con cui Parodi ha chiuso il terzo parziale si commentano da soli. Poi, nei momenti decisivi è mancata “fame” in difesa e nelle coperture, voglia di sacrificarsi dietro le scarpe del compagno che attaccava il muro russo, una forma di latente apatia culminata nel “pasticciaccio” sul 16-18 del quarto set che ci è costato tre punti di fila e, con essi, la partita. Nella pallavolo moderna, sempre più attenta alle specializzazioni di ruolo e alle velocità supersoniche, si dimenticano sempre più spesso le fondamenta davvero poco nascoste di questo gioco: lo dice il nome stesso, infatti, che lo scopo ultimo è non far toccare terra alla palla, no? E allora, cari ragazzi, limitate gli errori, lasciate cuocere gli avversari nelle loro paure e difendete, difendete, difendete. E vedrete che ai prossimi Mondiali quella specie di Fonzie troppo cresciuto al centro della rete ce lo mangiamo.
Non sono un intenditore di volley, lo sai, ma vedo spesso le partite più importanti in particolare quelle della nostra nazionale. Per la finale con la Russia concordo con la tua analisi anche se non bisogna dimenticare che non eravamo certo i favoriti. Secondo me potevamo solo sperare che quelli, i più forti, ci lasciassero spazio per imporre il nostro gioco e farsi imbrigliare. Ma per quanto tempo? Ci abbiamo provato e speriamo in futuro di alzare ancora di un gradino il nostro livello e di essere sempre più “affamati”.