Era più di una voce dopo l’ultima sconfitta contro Tampa Bay nei playoff, ma ora è ufficiale: a 42 anni Drew Brees, bandiera dei Saints, appende il casco al chiodo. Ripercorriamo la sua carriera, i suoi record ed il suo indissolubile legame con la città di New Orleans.

Drew Brees si ritira. New Orleans ammaina la sua bandiera più grande dopo 15 anni di onoratissimo servizio, una bandiera col numero 9 sulla schiena e sul petto, quello del quarterback che ha segnato un’era per i Saints e per tutta la città. E pensare che gli scout NFL non vedevano un futuro brillante nel giovane Brees, a dispetto dei molti record universitari fatti segnare con la maglia di Purdue; al draft del 2001 verrà scelto solo al secondo giro, come 32° pick, dai San Diego Chargers, non proprio uno dei top team, con perplessità legate alla sua altezza (183 cm erano pochi per gli standard dell’epoca) e alla potenza del suo braccio. Nella sua prima stagione tra i professionisti Brees è la riserva di Doug Flutie, ma riesce ad esordire (il 4 novembre 2001) contro i Chiefs, ed a lanciare il primo td pass della sua carriera. L’anno seguente i Chargers decidono di puntare su di lui come qb titolare, ma la vera esplosione avviene nel 2004, quando Brees si guadagna la prima convocazione al Pro Bowl (alla fine saranno ben 13!) facendo segnare numeri importanti (65,5% di completi per 3.159 yard, 27 touchdown a fronte di soli 7 intercetti e un qb rating di 104,8) e conducendo i Chargers ai playoff. Nel frattempo, però, San Diego aveva scelto al draft un altro qb dal grande avvenire, Philip Rivers, che stava iniziando a fare ombra al titolare. In più, nell’ultimo match della stagione, Brees si frattura la spalla di lancio con interessamento della cuffia dei rotatori, per cui i Chargers puntano decisamente su Rivers, offrendo a Brees un rinnovo contrattuale a condizioni quasi offensive. Brees rifiuta e si mette sul mercato come free agent, venendo conteso da Dolphins e Saints. Miami, però, non è convinta delle sue possibilità di recupero dall’infortunio, per cui lascia campo libero a New Orleans, che il 14 marzo 2006 sigla con Brees un contratto di 6 anni per 60 milioni di dollari. Sarà l’inizio di uno dei sodalizi-simbolo della NFL, reso ancor più significativo dalle condizioni in cui versava New Orleans nel 2006, semidistrutta dopo il passaggio dell’uragano Katrina nell’estate dell’anno precedente. I Saints, reduci da una disastrosa stagione con 3 vittorie e 13 sconfitte, affiancano a Brees un nuovo coach, Sean Payton, che diverrà il suo mentore per tutto il resto della carriera. Alla sua prima stagione con i Saints, Brees giungerà fino alle porte del Super Bowl, fermandosi solo alla finale di conference, battuto dagli Chicago Bears.
Nel 2007 e 2008 New Orleans mancherà i playoff, ma i numeri personali di Brees saranno sempre in crescendo, al punto da mancare di sole 15 yard, nel 2008, il record di Dan Marino di yard lanciate in una singola stagione; quelle di Brees saranno 5.069, un numero impressionante. Rinforzata la difesa, tutto è pronto per il leggendario 2009 dei Saints, che chiuderanno la regular season sul 13-3 (sensazionale Brees contro i Patriots, con 371 yard lanciate, 5 td e un rating mostruoso di 158,3!) e nei playoff metteranno in fila dapprima i Cardinals, poi i Vikins all’overtime ed infine gli Indianapolis Colts di Peyton Manning, con Brees MVP del Super Bowl che regala alla città il primo titolo NFL della sua storia, simbolo della rinascita di un’intera comunità. Nella stagione 2010 i Saints sono costretti ad abdicare già nel Wild Card Round, eliminati dai Seahawks nella partita divenuta celebre per il “Beast Quake”, la corsa in touchdown di 67 yard nel quarto periodo in cui Marshawn Lynch rompe ben 9 placcaggi, facendo saltare talmente forte i tifosi di Seattle da generare una scossa rilevata dai sismologi. Negli anni successivi i Saints di Brees e Payton, pur non tornando più al titolo, saranno comunque una presenza pressoché fissa alla post season, sempre trascinati da quel numero 9 che, passo dopo passo, costruirà quei record impressionanti di cui, oggi, è detentore. Si tratta di alcuni tra i più impressionanti e prestigiosi record del ruolo di quarterback, che meritano di essere elencati: maggior numero di yard lanciate in carriera (80.358), di passaggi completati in carriera (7.142) a fronte di soli 243 intercetti, record di passaggi completati in una singola stagione (471 nel 2016), miglior percentuale di completi in carriera (67,7%) e in una singola stagione (74,4% nel 2018), il tutto condito dalla sensazionale striscia di 54 partite consecutive, dal 2009 al 2012, con almeno un passaggio in touchdown in ognuna di esse. Ma i numeri non bastano, da soli, a spiegare l’importanza di Drew Brees, per la sua squadra e la sua città. In quel numero 9, arrivato tra mille perplessità mentre la città non aveva neppure uno stadio integro dove far giocare i Saints, si è via via riconosciuta un’intera comunità, ricostruendosi intorno a un giocatore che campione non era, che predestinato non era, ma che ha saputo diventarlo attraverso una tenacia davvero con pochi esempi nello sport contemporaneo. Ora, per lui, è già pronto un sontuoso contratto da commentatore televisivo con la NBC per il Sunday Night Football e, tra due anni, uno scontato quanto trionfale ingresso nella Hall of Fame. Ciao Drew, e grazie di tutte le emozioni che ci hai regalato.