È ingiusto dire che Jackie Robinson si sia meritato un posto nella storia dello sport mondiale solo per essere stato il primo giocatore nero a irrompere in un mondo di bianchi, quello della Major League Baseball. Quello lo ha reso un simbolo dell’integrazione e della lotta pacifica per i diritti civili, certo, ma il suo posto nel libro d’oro del baseball Robinson se lo è guadagnato divenendo uno dei più forti seconda base di tutti i tempi, certamente uno dei primi cinque dell’era moderna, a mio parere, assieme a Sandberg, Morgan, Alomar e Kent. A causa della segregazione razziale che confinava i giocatori neri nella Negro League, Robinson è arrivato molto tardi in Major League, a 28 anni, ma malgrado questo ha disputato dieci stagioni ad altissimo livello, conducendo i Brooklyn Dodgers alle World Series per ben sei volte, vincendo un titolo e numerosi premi individuali, testimoniati dalle sei convocazioni per l’All Star Game. Tutto questo ottenuto in un ambiente fortemente ostile, almeno nei primi anni, che certo ha richiesto a Robinson uno sforzo di concentrazione molto superiore ai suoi compagni bianchi. Alla fine, però, Robinson ce l’ha fatta: ha aperto la strada a molti altri campioni di colore ed è rimasto, ancora oggi, a oltre 40 anni dalla sua scomparsa, uno dei simboli più alti del suo sport e del suo Paese.
Jack Roosevelt Robinson nasce il 31 gennaio del 1919 a Cairo, in Georgia, ultimo di cinque figli. Meno di un anno dopo, il padre Jerry abbandona la famiglia, che si trasferisce quindi a Pasadena, in California, in cerca di migliori opportunità di lavoro per la madre Mallie. Già alla Washington Junior High School Jackie Robinson mette in mostra la sua naturale attitudine allo sport, primeggiando in tutte le discipline in cui si cimenta, dal baseball al basket, dal football al salto in lungo fino addirittura al tennis. Jackie trova l’appoggio dei due fratelli maggiori Mack e Frank e anche dopo il diploma, nel ’35, prosegue nella sua intensa attività sportiva, vincendo il singolare juniores del Pacific Coast Negro Tennis Tournament e guadagnandosi un posto nella selezione all star di baseball dello stato, accanto a futuri Hall of Famer come Ted Williams e Bob Lemon. Nel 1936 è però suo fratello Mack a balzare agli onori delle cronache, vincendo la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Berlino nei 200 metri, soli 4 decimi dietro il leggendario Jesse Owens.
Jackie frequenta con successo il Pasadena Junior College, quindi passa alla leggendaria UCLA, University of California et Los Angeles, dove la sua carriera sportiva sembra indirizzarlo verso un futuro da running back di football, anche se i suoi risultati continuano a essere straordinari anche altrove: vince i campionati assoluti NCAA di salto in lungo, saltando 7 metri e 58. Paradossalmente, è il baseball la disciplina in cui trova più difficoltà nei suoi anni universitari, ma è sempre a UCLA che incontra la sua futura moglie, Isum, che gli sarà accanto per tutta la vita. Jackie Robinson inizia la sua carriera di running back nella Pacific Coast Football League, ma l’attacco giapponese a Pearl Harbor pone fine a tutte le sue velleità, mettendogli una divisa sulle spalle. Terminato l’addestramento a Fort Riley, in Kansas, Jackie chiede di essere ammesso, assieme ad altri soldati di colore, alla scuola ufficiali. La sua ammissione viene ritardata continuamente per mesi finché, grazie alle proteste di Joe Louis, il celebre campione del mondo dei pesi massimi, e all’interessamento di Truman Gibson, assistente del segretario alla difesa, la situazione si sblocca. Nel ’43 Jackie Robinson è un tenente del 761° battaglione corazzato, le cosiddette “Black Panthers”, di stanza a Fort Hood, nel Texas, in attesa di essere dispiegato sul fronte europeo, ma non vedrà mai (per sua fortuna) la guerra da vicino. Il 6 luglio del ’44 accade infatti un episodio che segnerà a lungo la vita di Jackie, il suo primo, duro contatto con il profondo razzismo che ancora pervade la società americana. Salito su un bus dell’esercito, Robinson si sente ordinare dall’autista di sedersi in fondo per via del colore della sua pelle. Lui si rifiuta, l’autista riprende a guidare ma, giunto al termine della corsa, chiama la polizia militare, che arresta Robinson e lo deferisce alla Corte Marziale per insubordinazione. Il comandante del suo battaglione si rifiuta di autorizzare l’azione legale, così Robinson viene trasferito al 758°, il cui comandante non solo acconsente ma aggiunge ulteriori accuse a suo carico, tra cui la pubblica ubriachezza, malgrado Robinson fosse astemio. Comparirà di fronte alla Corte Marziale nell’agosto del ’44, che ridurrà le accuse nei suoi confronti e lo condannerà a soli due mesi di reclusione per insubordinazione. Dopo aver scontato la pena, Robinson sarà trasferito nel Kentucky, come allenatore degli atleti dell’esercito, fino ad essere congedato nel novembre del ’44.
Grazie a un vecchio amico, il reverendo Karl Downs, Jackie trova lavoro presso il Sam Houston College di Austin, Texas, come capo allenatore; mentre è lì, agli inizi del ’45, la squadra dei Kansas City Monarchs gli offre 400 dollari al mese per giocare nella Negro League, il campionato professionistico riservato ai giocatori di colore. La sua stagione è notevole, con 387 di media battuta, 5 home run e 13 basi rubate in 47 partite, e gli varrà la convocazione per l’All Star Game della lega, ma la disorganizzazione del campionato e i condizionamenti esterni dovuti alle scommesse illegali convincono Jackie a cercare un contatto con la Major League. Sostiene un provino con i Boston Red Sox, ma è una farsa organizzata solo per tenere buono qualche politico. Per fortuna di Robinson, altre squadre di MLB sono interessate a inserire giocatori neri nelle loro fila, primi tra tutti i Brooklyn Dodgers, per mano del suo presidente e general manager, Branch Rickey. Rickey convoca Robinson il 28 agosto 1945 e, in un celebre colloquio di oltre tre ore, sonda il carattere di quello che dovrà essere un uomo simbolo, non solo da un punto di vista tecnico ma anche e soprattutto comportamentale, per tutta la Major League. È in questa occasione che, al culmine della provocazione di Rickey, Robinson spazientito esclama: “State cercando un negro che abbia paura di fare a pugni?”, sentendosi rispondere “No, sto cercando un negro che sia tanto coraggioso da non fare a pugni”. Viene messo sotto contratto per 600 dollari al mese, per un periodo di prova con i Montreal Royals, nella International League (il futuro triplo A). Il 10 febbraio del ’46 Jackie sposa Isum e, nella successiva primavera, si presenta a Daytona Beach, in Florida, per lo spring training dei Royals.
I problemi non tardano ad arrivare. A Robinson non viene permesso di alloggiare con gli altri compagni in hotel, ma deve sistemarsi nella casa di un uomo politico locale, anch’egli di colore. All’inizio non gli è consentito di prendere parte alle gare amichevoli, visto che gli sceriffi delle varie cittadine minacciano sempre di sospendere la partita se lui verrà schierato in campo. Esordirà finalmente in amichevole il 17 marzo 1946 e poi, il successivo 18 aprile, nella prima gara ufficiale della stagione, a Jersey City, nel ruolo di seconda base. Quella prima partita, conclusa con 4 valide in 5 turni, un fuoricampo da 3 punti, 4 punti segnati e 2 basi rubate, sarà solo il prologo di una stagione eccezionale, in cui Robinson verrà premiato come MVP della lega. Il salto in Major League è ormai imminente, ed avviene a pochi giorni dall’inizio della stagione 1947, il 15 aprile per l’esattezza, con la maglia dei Brooklyn Dodgers. Oltre 26 mila spettatori, tra cui 14 mila di colore, vedono l’esordio di Robinson, per l’occasione in prima base, il primo giocatore nero in un mondo che fino a quel giorno era riservato esclusivamente ai bianchi. La sua presenza causerà comunque grosse tensioni dentro e fuori la squadra, con compagni e avversari. Tra questi ultimi vanno ricordati i St. Louis Cardinals, che minacciano lo sciopero se Robinson entrerà in campo, e i Philadelphia Phillies, che lo invitano in più riprese a tornare nei campi di cotone. Sarà proprio il ripetersi continuo di queste situazioni di estremo razzismo nei confronti di Robinson, a cementare lo spirito dei suoi compagni, dapprima molto infastiditi dalla sua presenza, in sua difesa. Pee Wee Reese sarà il primo a mettersi apertamente dalla sua parte, nel ’47, e l’anno seguente, a Cincinnati, arriverà addirittura ad abbracciarlo in campo, in risposta agli insulti razzisti provenienti dalle tribune. Da un punto di vista tecnico, comunque, la stagione d’esordio è per Jackie più che positiva (297 di media battuta, 29 basi rubate, 12 fuoricampo e 48 punti battuti a casa) e gli vale il premio, appena creato, di miglior Rookie dell’anno. Nella stagione 1948 Robinson torna a occupare il ruolo di seconda base e lo fa alla grande, aggiungendo una media battuta di 296 e 22 basi rubate. I Dodgers raggiungeranno le World Series, dove saranno però battuti dai Cleveland Indians.
Il 1949 sarà l’anno della svolta per Jackie, la stagione in cui farà il salto di qualità anche nell’aspetto offensivo del gioco. La sua media battuta salirà a uno straordinario 342, con 124 punti realizzati, 122 battuti a casa e 37 basi rubate, numeri che gli faranno guadagnare il premio come MVP assoluto della National League e la convocazione per l’All Star Game, il primo aperto anche ai giocatori di colore. Per il secondo anno consecutivo, i Dodgers arrivano alle World Series, uscendone però nuovamente sconfitti, stavolta dagli Yankees. Nel’ 50 Robinson firma un ricchissimo contratto per l’epoca, 35 mila dollari l’anno, divenendo il giocatore più pagato della sua squadra; è l’anno in cui viene girato il primo film sulla sua vita, ma è anche l’anno in cui Branch Rickey, il suo mentore, abbandona i Dodgers per trasferirsi ai Pittsburgh Pirates, lasciando il posto a Walter O’Malley, con cui il rapporto sarà decisamente meno idilliaco. Prima della stagione 1951 O’Malley proporrà a Robinson di assumere il ruolo di manager dei Montreal Royals, chiudendo di fatto la sua carriera da giocatore, ma otterrà solo un netto rifiuto. A 32 anni Robinson è ancora un campione, e lo dimostra sul campo, con un’altra stagione straordinaria da 335 di media battuta, con 106 punti segnati e 25 basi rubate, ma conclusa ai playoff contro i New York Giants dal celebre fuoricampo di Bobby Thompson, “the shot heard around the world”.
Il 1952 è una stagione leggermente sottotono per Jackie, ed è anche l’ultimo anno in cui ricopre esclusivamente il ruolo di seconda base: i Dodgers tornano a vincere la National League ma perdono ancora le World Series per mano degli Yankees. La storia si ripete l’anno seguente, con Robinson ancora sugli scudi (329 di media battuta, 109 punti segnati e 17 rubate) ma con i Dodgers che escono battuti dalle World Series, sempre dagli Yankees. Il ’54 è l’ultimo grande anno di Jackie, che con 35 primavere sulle spalle è ancora in grado di chiudere la stagione con una media battuta di 311, ma in difesa viene ormai utilizzato soprattutto come esterno o terza base, per via della perdita di reattività. Ironia della sorte, Jackie vincerà il primo e unico titolo della sua carriera nel suo anno peggiore, il 1955, quando i Dodgers avranno finalmente la meglio sugli Yankees. Robinson salta 49 partite in quella stagione a causa di infortuni, e non scende in campo neppure nella decisiva gara 7 di finale, ma il titolo porta anche la sua firma. Gli effetti del diabete incipiente iniziano a farsi sentire, assieme a quelli dell’età, e Jackie chiude il 1956 con 275 di media battuta e, soprattutto, con una forte perdita di interesse verso il baseball, sia come giocatore che, eventualmente, come allenatore. Al termine di quella stagione viene ceduto per 35 mila dollari ai New York Giants, ma il contratto rimarrà sempre e solo sulla carta, visto che Jackie deciderà di ritirarsi.
Il solco profondo lasciato da Jackie Robinson nel mondo del baseball è certamente legato a un fattore simbolico, all’essere stato il primo giocatore a rompere una barriera razziale perdurante da oltre sessant’anni, ma non bisogna mettere in secondo piano l’aspetto tecnico e sportivo. Robinson fu il primo per una coincidenza di fatti e di interessi, innanzitutto economici (ricordiamo la famosa frase di Branch Rickey, secondo cui “i dollari con cui i neri pagheranno l’ingresso per venire a vederti non sono né bianchi né neri, sono verdi”), ma Robinson fu il primo anche perché era un giocatore straordinario, che fece registrare numeri eccezionali malgrado gli venne concesso di esordire tra i professionisti solo a 28 anni. Nell’arco della storia del baseball può essere indicato come il punto di passaggio tra la “long ball era”, quella cioè in cui erano preminenti i fuoricampo, a quella in cui la velocità di corsa sulle basi riguadagnò importanza, fino a toccare il suo culmine negli anni Settanta e poi Ottanta, grazie a Rickey Henderson. Jackie Robinson è stato uno straordinario difensore, un battitore che ha saputo coniugare, dote rara, continuità e potenza e un corridore sulle basi di un’aggressività pazzesca. I numeri, come sempre nel baseball, sono lì a dimostrarlo: media battuta in carriera 311, 474 di media bombardieri, 409 di arrivo in base, 740 basi ball ottenute contro soli 291 strikeout subiti e 197 basi rubate, tra cui, impressionante, 19 volte casa base.
La vita di Jackie Robinson lontana dal baseball, dopo anni di serena e molto attiva pensione (come uomo d’affari ma anche con grande impegno nelle battaglie antirazziste), si scontrerà nella sua ultima parte con il dolore della perdita del figlio maggiore, Jackie jr., dapprima ferito in Vietnam, poi alle prese con problemi di droga ed infine morto nel ’71, a soli 24 anni, in un incidente d’auto. Jackie gli sopravvivrà fino all’anno seguente, venendo ucciso da un infarto il 24 ottobre del 1972, a 53 anni. La sua eredità spirituale è testimoniata da un’infinità di premi, riconoscimenti, piazze, strade e scuole intitolate al suo nome in tutta l’America, ma niente può superare quello che accadde il 15 aprile 1997, quando la Major League decise di ritirare il suo numero di maglia, il 42, da tutte le squadre del campionato. Solo a Wayne Gretzky, tre anni più tardi, verrà tributato lo stesso onore dalla National Hockey League. Dal 2007, ogni 15 aprile, viene concesso a tutte le squadre di giocare per un giorno tutti con lo stesso numero sulla casacca: ovviamente il 42 di Jackie Robinson.