È finita. Dopo 6 partite, per larghi tratti appassionanti e dal ritmo vertiginoso, la Stanley Cup ha preso la strada di Pittsburgh, dove mancava dal 2009. Ma se lo scorso anno, con il successo di Chicago, avevamo parlato del punto d’arrivo di un gruppo straordinariamente vincente, qui siamo forse all’alba di una nuova generazione di “pinguini” fortissimi, un roster giovane e che ha pochissimo in comune con quello che vinse sette anni fa. Una squadra non esente da imperfezioni, ovvio, ma che offre al suo leggendario gm, Mario Lemieux, il vantaggio di avere ben chiaro sotto gli occhi dove intervenire: un paio di innesti di qualità nelle coppie difensive e anche il prossimo anno rischia di non essercene per nessuno. Tra i 12 uomini delle linee offensive schierati in finale, solo Kunitz e Cullen hanno superato i 30 anni, mentre tutte le stelle (Crosby, Malkin, Hagelin, Bonino, Kessel) sono nella loro migliore età (27-29 anni) e, fatta salva l’incognita infortuni, è facile prevederli al top ancora per 2 o 3 stagioni. In più, sono circondati da giovanotti di bellissime speranze, come Sheary, Rust e, ovviamente, il portiere Matt Murray, che potrebbe consentire alla società di mettere sul mercato a peso d’oro un portiere come Fleury.
Tornando al presente, corre l’obbligo di raccontarvi le ultime due partite della serie. Gara 5 vedeva Pittsburgh già al matchball, sul 3-1, con la chance di chiudere davanti al proprio pubblico. Non avevamo però sbagliato, nel nostro ultimo post, nel citare il grande orgoglio di San Jose, forse la migliore qualità mostrata dagli Sharks in queste finali in cui, per gli imperscrutabili motivi dello sport, le sono improvvisamente spariti dai tabellini i suoi migliori realizzatori. San Jose ha messo sul ghiaccio di gara 5 proprio quell’orgoglio, partendo a razzo e facendo capire da subito ai tifosi dei Penguins che la festa era di là da iniziare. Buona parte delle emozioni di questa partita si concentrano nel primo periodo, dove vengono realizzate ben 5 delle 6 reti totali. Gli Sharks sono già avanti 2-0 dopo neppure 3′ grazie a Burns e Couture, ma ai Penguins bastano 22″ per pareggiare: tanti infatti ne corrono tra il 2-1 in power play di Malkin (un’autorete di Burns, in realtà) e il 2-2 siglato da Hegelin con una deviazione un po’ fortunosa sotto porta. Dopo 5′ e 6″ siamo già 2-2, incredibile! Dieci minuti di battaglia e poi San Jose ripassa avanti, con Karlsson lesto a concludere dopo un assist da cineteca di Couture.
Pur con una sola rete di vantaggio, San Jose si dedica molto al contenimento, con i Penguins aggressivi fino allo sfinimento ma incapaci di trovare la lucidità per costruire buoni tiri. Colgono comunque un doppio palo sfortunatissimo, ci provano fino alla fine spinti dal loro pubblico, ma a 1’20” dalla sirena finale devono alzare definitivamente bandiera bianca dopo il 4-2 siglato a porta vuota da Pavelski.
Si va così a gara 6, stavolta a San Jose, con gli Sharks ancora aggrappati con le unghie e i denti al sogno di gara 7 e con i Penguins ben decisi a non rimettere tutto in discussione in una partita secca. Entrambe vogliono prendere subito in mano la partita, inevitabile quindi che ne nasca un match schizofrenico, rapidissimo e con incessanti ribaltamenti di fronte. Pittsburgh torna alle vecchie abitudini, segnando per prima con Dumoulin in power play dopo 8’16”, con l’involontaria complicità di Martin Jones, fattosi cogliere impreparato. È lo stesso Jones, però, a farsi perdonare con gli interessi pochi minuti dopo, quando compie tre interventi miracolosi nella stessa azione, stoppando il raddoppio degli ospiti. San Jose raccoglie tutte le proprie forze e il proprio orgoglio nel primo intervallo, iniziando il secondo periodo a un ritmo spaventoso che produce un assedio e il meritatissimo pareggio, segnato dopo 6’27” da Couture (uscito come un gigante da questi playoff). Gli Sharks devono per forza rifiatare e allora Pittsburgh affonda il coltello senza farsi pregare, segnando con Letang dopo soli 75″, grazie a una splendida azione di Crosby.
Il colpo di Letang abbatterebbe anche un toro, ma San Jose ha ancora energie da spendere e si ributta avanti con orgoglio, accettando di buon grado di correre rischi dietro (occasionissima mancata da Malkin a 4’40” dalla fine del secondo periodo, miracolo di Jones su Kessel lanciato da solo a 5′ dal termine). Pittsburgh capisce che quel gol va difeso a ogni costo e rinuncia al suo pressing alto, ponendosi a protezione della porta di Murray, che corre qualche rischio ma non è costretto a troppi straordinari. A chiudere definitivamente la questione ci pensa Hornqvist, che ad 1′ dalla fine, in regime di empty net, sigla la rete del 3-1 e regala la Stanley Cup ai Penguins.
Inutile stare a ricordare l’incredibile percorso che ha portato Pittsburgh dalla crisi più profonda al titolo nell’arco di sei mesi, grazie soprattutto all’arrivo provvidenziale di Mike Sullivan, capace di instillare in una squadra pigra e passiva l’idea di questo pressing sì dispendioso ma enormemente redditizio e spettacolare quando trova, come in questi playoff, interpreti in gran forma. È stata anche la grande notte di Sidney Crosby, che ha alzato da capitano la seconda Stanley Cup della carriera e che è stato anche premiato come miglior giocatore della postseason. Ma le ultime righe vanno, romanticamente, ai San Jose Sharks, cui spetta davvero l’onore delle armi. Una squadra con giocatori come Marleau e Thornton, che hanno giocato migliaia di partite in NHL prima di poter giocare la loro prima (e presumibilmente unica) finale, che non ha mai mollato, pur partendo sfavorita e dimostrando poi sul ghiaccio di avere qualche freccia in meno al proprio arco rispetto a quello dei Penguins. Tutto vero, tutto previsto, ma se abbiamo visto una bella finale lo dobbiamo anche a loro.