
Il Super Bowl di New Orleans, che avrebbe dovuto chiudere una storica tripletta di titoli per i Chiefs, si conclude invece con un tracollo memorabile di Kansas City, letteralmente schiantata dalla partita perfetta degli Eagles (Hurts MVP), da una linea offensiva in perenne affanno e da una difesa colpevole di aver preparato solo la partita su Barkley.
Altro che “triplete”, questo Super Bowl numero 59 di New Orleans è passato agli annali come una delle prestazioni più deludenti di sempre da parte della squadra data per naturale favorita, anche perché campione in carica da due stagioni. Una “Caporetto” epocale per i Chiefs, capaci di mettere i primi punti sul tabellone solo alla fine del terzo periodo, con Philly già avanti di 34 punti a zero; e non fatevi ingannare dal 40-22 finale, perché gli altri 16 punti di Mahomes e compagni sono arrivati solo nei minuti finali, a partita già ampiamente compromessa. Notte di gloria assoluta per gli Eagles, per la loro difesa squassante, per Jalen Hurts finalmente campione completo ed MVP, per Saquon Barkley che ha fatto da specchietto per le allodole incassando un sacco di botte e per il coach Nick Sirianni, che di fronte ai due monumenti Reid e Spagnuolo ha stravinto la partita a scacchi che si gioca dalle sideline. Dopo l’amarissima sconfitta di due anni fa, Philly ha trovato la forza d’animo per ricompattarsi e invertire un destino che per molti sembrava già scritto.
LA PARTITA
Philadelphia ritrova Brandon Graham, assente da nove partite, nel front four, e non sarà un recupero di poco conto nell’economia del match, visto che il nose tackle andrà ad affondare il coltello proprio nel punto debole dei Chiefs, la linea offensiva. I primi due drive producono altrettanti punt, ma salta subito all’occhio la differenza di strategia: l’attacco Eagles consuma 8’40” dal cronometro prima di uscire dal campo, quello di Kansas City solo 1’50”. Alla fine, la differenza in tempo di possesso sarà impressionante: 23′ per i Chiefs, 37′ per i nuovi campioni. Al terzo drive del match arrivano i primi punti: Dotson percorre 28 yard ma viene atterrato a una yard dalla meta, ci pensa la solita, incontenibile qb sneak di Hurts a segnare il 7-0. L’attacco dei Chiefs continua ad avere le polveri bagnate, ma all’inizio del secondo periodo sembra pensarci la difesa ad aiutarlo, con l’intercetto di Cook che salva un sicuro td. Mahomes & co. finiscono però per produrre solo punt, e così l’attacco di Philadelphia continua a tenere il pallone tra le mani, con Barkley, che però è ben marcato dalla difesa, ma soprattutto con Hurts, che canta e porta la croce. Dopo il field goal di Elliott da 48 yard per il 10-0, sale in cattedra la difesa biancoverde, che butta fuori dalla partita ogni residua speranza dei Chiefs. Dopo due sack consecutivi (alla fine saranno ben 6), arriva l’intercetto di De Jean, riportato in end zone per il 17-0. Due drive dopo arriva il secondo intercetto della nottata da incubo di Mahomes, con l’ovale agguantato da Baun con uno splendido tuffo plastico; palla ancora a Hurts, con 1’45” da giocare e sole 14 yard da prendere. Detto fatto, td pass per A.J. Brown per il più facile dei 24-0, con la difesa dei Chiefs completamente in bambola. Al di là del punteggio, sono altri i numeri incredibili con cui si arriva all’intervallo: 10 primi down a 1, 179 yard totali a 23, 20′ di possesso contro 10′, tutti ovviamente a favore degli Eagles. All’inizio del secondo tempo, ci aspettiamo un po’ tutti la veemente riscossa di Kansas City, che riceve il kick off, ma lo strapotere di Philadelphia non si placa: Mahomes incassa altri due sack ed è costretto al punt, gli Eagles rispondono allungando ancora con un field goal che vale il 27-0. A metà del terzo periodo arriva la prima ricezione di un Kelce totalmente fuori partita (idem contro Buffalo in finale di conference), ma un quarto tentativo alla mano resta incompleto e Mahomes resta ancora, incredibilmente, a zero. Philly, ormai padrona del campo, decide che è tempo per smetterla di giocare col cronometro e al primo snap gioca subito in profondità, con una bomba di Hurts che pesca Devonta Smith per un td da 46 yard che scrive sul tabellone un umiliante 34-0. Anche se c’è ancora tutto il quarto periodo da giocare, la partita finisce sostanzialmente lì, con i Chiefs che segnano tre inutili td (due con Worthy, uno con Hopkins) e la difesa degli Eagles che si toglie la soddisfazione di piazzare il sesto sack della serata con aggiuntivo fumble raccolto da Williams. Il finale recita 40-22.
Una “Caporetto” epocale per i Chiefs, capaci di mettere i primi punti sul tabellone solo alla fine del terzo periodo, con Philly già avanti 34-0…
L’ANALISI
Dopo una stagione passata a decantare lo show offerto dai migliori attacchi della NFL, è giusto che nella partita più importante la scena se la prendano le due difese (e i relativi coach), ovviamente una in positivo e l’altra in negativo. La prestazione della difesa degli Eagles, guidata dal 66enne Vic Fangio, è stata perfetta, sia nella pianificazione che nell’esecuzione: si è scelto di affondare il coltello nell’unico, vero punto debole di Mahomes, la sua linea offensiva, che aveva già concesso 36 sack in stagione regolare (record negativo dell’era del numero 15). Scelta che ha pagato un enorme dividendo, producendo sei sack, altrettanti tackle for loss e costringendo Mahomes a giocare sempre “scappando”, sempre fuori dalla sua tasca, che collassava immediatamente. Monumentale la partita di Sweat (2 tackle, 4 assistenze, 2,5 sack e 2 tackle for loss), ma tutto il front seven ha dominato gli avversari, togliendo ogni preoccupazione dalle spalle delle secondarie. Merita una piccola parentesi proprio il qb dei Chiefs, sul quale oggi si leggono sciocchezze a palate, sia sui media italiani che su quelli a stelle e strisce: c’è già chi parla di giocatore finito, di un’era al tramonto, chi tiene a sottolineare che Brady una figura così non l’avrebbe mai fatta. Pat Mahomes è e resta un campione, la prima stella della NFL contemporanea, e quella di ieri è una sconfitta che pesa (ovvio) sulla sua bacheca personale, ma non sul suo valore generale, a nostro parere. Il numero 15 ce l’ha messa tutta, correndo in prima persona, spronando i suoi senza dare segni di scoramento, ma non si può vincere sempre; una serata stortissima, insomma, personale e di squadra, ma vissuta comunque da leader vero, in campo e davanti ai microfoni nel dopo partita, senza cercare alibi o scaricare sugli altri le responsabilità. E già il fatto che il suo unico termine di paragone sia il GOAT, deve dirla lunga sulla qualità dell’uomo e del giocatore.
Chi invece ha vissuto una nottata da incubo è stato Steve Spagnuolo, defensive coordinator dei Chiefs: gli va riconosciuto di aver preparato benissimo la partita su Saquon Barkley, fermato a sole 57 yard guadagnate in 25 portate, con la media di sole 2,2 yard e nessun touchdown, ma è stata una preparazione miope, visto che su tutte le altre coperture c’era il nulla. Esempio ne sia il td di Brown sul 17-0, quindi a partita ancora aperta, con Hurts senza alcuna pressione e il wr senza marcatura. Imbarazzante. Alla fine Barkley è stato lo specchietto per le allodole, catalizzando su di sé tutte le attenzioni della difesa dei Chiefs e aprendo così gli spazi in cui si sono buttati gli altri, a cominciare proprio da Jalen Hurts, che anche grazie alle 72 yard corse si è preso il titolo di MVP, per finire con i ricevitori, che finivano per trovare sempre con marcatura singola. Una lezione di umiltà per gli ormai ex campioni in rosso, e una sconfitta che manda chiare indicazioni al front office per la prossima offseason: investire sulla linea offensiva è inderogabile.