I Denver Broncos vincono 24-10 il Super Bowl numero 50, regalando a Peyton Manning, loro leader offensivo prossimo al ritiro dopo quasi due decenni di onoratissima carriera, un’uscita trionfale, da vero happy ending americano. Ma la notizia è soprattutto che i Carolina Panthers perdono il Super Bowl, facendosi imbrigliare dalla difesa di Denver e finendo per impantanarsi fino al collo proprio nella partita in cui non dovevano farsi tirare dentro. Punteggio basso, ritmi lenti e noiosi, difese dominanti a fronte di attacchi pasticcioni e sempre più posseduti dall’urgenza del big play. Un capolavoro di tattica difensiva di Gary Kubiak, magistrale nel ripetere lo stesso tipo di partita (l’unico possibile con il materiale umano a sua disposizione) pianificato in finale di conference contro i Patriots, ma è davvero difficile segnare il confine tra i meriti dell’head coach dei Broncos e i demeriti collettivi dei Panthers in crisi nervosa collettiva.
Solo in questo apatico grigiore Peyton Manning sarebbe potuto rimanere a galla, non per mancanza di classe o di volontà ma perché non ha veramente più benzina fisica, prosciugato dai tanti anni passati da protagonista sulla linea di scrimmage, dalle tante botte subite e, va da sé, dai moltissimi infortuni. Chi si aspettava (non noi) un’uscita di scena di Manning con una prestazione faraonica che spingesse al trionfo i Broncos è rimasto deluso a metà: lo sceriffo ha giocato una partita mediocre (13 su 23 per sole 141 yard, nessun touchdown, un intercetto e un rating di solo 56.6) ma alla fine è bastato e avanzato per avere ragione di questi Panthers troppo spocchiosi all’inizio e troppo depressi appena resisi conto che non era serata da showtime. I volti della vittoria sono altri, ben distanti da quello un po’ “groggy” di Manning: si chiamano Von Miller (MVP della partita) e Demarcus Ware, insieme a tutti gli altri loro compagni di difesa, e sono stati capaci di trasformare in un incubo quella che sarebbe dovuta essere la notte di consacrazione di Cam Newton. Incassare solo 28 punti in due partite contro i due attacchi più esplosivi della lega, Carolina e New England, ha davvero il sapore del capolavoro.
A proposito di Newton, Superman ha concluso con numeri da disfatta (18 su 41, 265 yard, nessun touchdown, un intercetto e 55.4 di qb rating), ma la cosa più grave è che è stato il primo dei suoi a non crederci più, quando invece il suo ruolo e la sua leadership nello spogliatoio gli avrebbero imposto il contrario. La sua linea offensiva non lo ha aiutato per niente, va detto, facendo acqua da tutte le parti ed esponendolo quindi a ben 7 sack e a una pressione costante e pesantissima da sostenere.
Una sconfitta deprimente per Carolina, che deve saperla metabolizzare nel modo corretto, perché ha ancora i mezzi tecnici e l’età per riprovare subito ad agguantare il Lombardi Trophy, ma da fuori l’impressione è che si prepari qualche “notte dei lunghi coltelli” nello spogliatoio dei Panthers. Con Manning già a Disneyland a godersi i frutti della sua popolarità, il futuro è invece più oscuro per Denver, piena di free agent in scadenza e con un qb, Osweiler, talentuoso ma ancora tutto da scoprire alla barra di comando della squadra campione in carica. E la prossima potrebbe essere la stagione di un nuovo, grande tormentone da happy ending, quello di Tom Brady, all’ultimo (forse) anno buono per dare la caccia al quinto anello.
A proposito di addii, non possiamo negare qualche riga a quello di Marshawn Lynch, annunciato proprio a margine del Super Bowl. Running back con pochi eguali nella storia del football, il suo inarrestabile “beast mode” lo ha reso meritatamente celebre e ha portato Seattle in cima alla NFL. Dopo un anno tormentato da infortuni e concluso con un troppo frettoloso recupero per i playoff, Lynch ha deciso di chiuderla qui. Ma sarebbe da sciocchi non ammettere che la sua carriera è finita giusto 12 mesi fa, e paradossalmente su una palla che non ha portato lui. Quella stupida, folle chiamata finale di Pete Carroll nello scorso Superbowl non è solo costata un titolo ai Seahawks, ma ha anche spento la luce della fiducia in uno dei più grandi leoni da corsa del football moderno.
Concordo in pieno! Grande attesa per l’evento sportivo dell’anno… che arriva, passa e scivola via senza troppo disturbare, tra la doverosa glorificazione di Manning e i silenzi assordanti di una mancata spettacolarità.