“Ladies and Gentlemen, please welcome… the Warriors!”
Timbro caldo e profondo, baritonale da far vibrare i cuori e surriscaldare gli animi. Una voce epica per tributare onore e gloria alle gesta di una delle squadre più interessante degli ultimi tempi: Golden State. Una voce pervasa di emozione che regala il benvenuto ad un gruppo di eccellenze, come si usa fare (tradizionalmente) all’inizio di ogni gara NBA, pochi attimi prima del fischio d’inizio e una manciata di minuti dopo quell’onda anomala che attraversa la folla accorsa da ogni dove per stordirsi con massicce dosi di “slam dunk”, allucinogeni “alley oop”, tachicardici “given and go” e rullate vertiginose di “assist”.
Denver Nuggets incontrati, affrontati e sconfitti (118 a 105). Ecco il lasciapassare per il raggiungimento di un risultato storico: 15 vittorie consecutive, senza alcuna sbavatura, eguagliando il record dei Houston Rockets nel 1993/1994 e dei Washington Capitols nel 1948/1949. Attenzione, però, nessuno di questi due team era reduce da una lunga cavalcata vincente partita dalla precedente stagione (i Warriors si propongono, oggi, al grande pubblico come i Campioni in carica dopo un violento scontro contro la poderosa armata di Lebrom James e dei suoi Cavalieri nelle ultime Finals). Solo i New England Patriots di Boston, nel 2007, seppero fare meglio, benedicendo l’inizio della loro regular season con 16 vittorie consecutive. Ma stiamo parlando di un altro sport (il grande football americano) che poggia su altre dinamiche e differenti schemi temporali.
Splash Brothers e compagni puntano ora, oltre al record in solitaria (nella prossima sfida contro i Lakers), a costruire la miglior regular season della storia, superando l’opera dei leggendari Chicago Bulls confezionata nel 1995/1996 (72 incredibili vittorie contro 10 misere sconfitte). Inserendo le statistiche anche della post-season i Bulls di Jordan hanno registrato un record di 87 vittorie su 100 partite, battendo in finale i SuperSonics. L’inizio dei Tori Rossi fu sicuramente meno trionfale (13 vittorie e 2 sconfitte) ma molto più devastante il traguardo raggiunto dopo 40 partite: 38 vinte e 2 perse!
I Guerrieri di questi giorni sembrano inavvicinabili, intoccabili, imbattibili e sono sulla buona strada per scrivere una pagina indelebile. Neanche a dirlo risultano già favoriti in 65 delle 67 sfide rimanenti da parte della grande famiglia dei longevi bookmakers americani. Ciò che stordisce maggiormente di Golden State é un collettivo da sogno, un organico perfetto ed equilibrato, dove ogni elemento è parte integrante di un congegno svizzero. Il potere dell’unione. La meraviglia del gruppo. La forza delle relazioni. «Giochiamo in completa fiducia», ha detto Stephen Curry (stranamente sotto i 20 punti quando la sua media cartellino è superiore ai 30 a partita) «non credo che potremmo perdere tanto presto, visto come stiamo giocando». Nell’incontro dell’altra notte, nonostante il vantaggio parziale dei Nuggets, è bastato un quintetto “piccolo” – alla fine del secondo quarto – per mettere un sigillo regale, quello di cera lacca, alla partita, ponendola definitivamente al sicuro. Sei pepite in doppia cifra per Denver, a cui non bastano i 19 punti del nostro orgoglio nazionale, Danilo Gallinari (pessimo al tiro con 4/16 ed 1/4 da oltre l’arco, cui aggiunge un ottimo 10/11 ai liberi, 6 rimbalzi e 2 assist). Ennesima prestazione degna di nota del rookie Emmanuel Mudia (17 punti complessivi e 8 assist a fine gara). Il top scorer dei Warriors, in chiusura, sarà Klay Thompson con un bottino di 21 punti.
Una cosa fondamentale viene insegnata e trasmessa a tutti coloro che si avvicinano per la prima volta ad un’attività sportiva: non dare mai nulla per scontato, altrimenti sarà l’inizio della fine! Mi auguro che i Warrioris sappiano far tesoro di questa massima e non commettano tale errore. Costerebbe loro molto caro. Soprattutto manderebbe in frantumi qualcosa di molto più importante di una vittoria: il rispetto verso se stessi e verso i propri avversari.