
Sono trascorsi molti anni dal dominio rosso dell’era Schumacher, i cui successivi cicli regolamentari hanno premiato la capacità di sposare il progetto iniziale, vedi Red Bull-Vettel, Mercedes-Hamilton/Rosberg e Red Bull-Verstappen. Oggi la Ferrari sta lavorando in vista dal 2026 perché altrimenti, ancora per tanti anni si vedrà vincere gli altri.
Sette Marzo Duemilaquattro. Melbourne, Albert Park.
Gran Premio d’Australia.
Tanto è trascorso da quello spaventoso allungo in cui credevano solo quelli in rosso, convinti di risultare credibili a dispetto di una Williams che, nel frattempo, aveva abbandonato il tricheco (ricordate la forma del muso della FW26) ai box, non erano della stessa idea nemmeno alla McLaren.
In quell’alba si aspettavano repliche dai battuti cronici del periodo, mentre fu Schumacher a darle a tutti, compreso Barrichello incapace di reggere il ritmo, soprattutto quando a farlo era il suo capitano.
Schumacher era sempre tutta fame e talento, insieme alla Ferrari che mise in pista un’altra macchina, convinta forse che non fosse sufficiente per continuare il lungo ciclo felice.
Una prima corsa che divenne un segno netto sul mondiale, l’ennesimo.
Nella consapevolezza che sarebbero arrivati giorni difficili, mentre per gli altri era la durissima quotidianità.
La vera impresa di Todt è stata sopravvivere ai primi sette anni di sconfitte, più che vincere per i successivi sette.
Fred Vasseur, intervista al Corriere della Sera (luglio 2023)
Terminarono gli aggettivi, annientati pure loro dai numeri e curriculum ferrarista che spiegava nella massima sintesi con chi abbiamo avuto a che fare, attendendo segni di stanchezza, di declino davanti a vittorie ed espressioni d’irresistibile rilassatezza per produrre una memoria che nessuno di noi potrà mai dimenticare.
Schumacher, diverso da Senna per metodo di lavoro, ma una semplicità di carattere e animo che non permetteva nemmeno ai contratti d’insediare la sua attitudine, integro com’era, come se non fosse mai accaduto quel tutto: Ferrari, moglie e figli, un sigaro per ogni mondiale.
Mai una serata sopra le righe, utile a scaturirne un pettegolezzo, un divertimento col rischio di farci addormentare come se la noia fosse stata un demerito, una mezza colpa seppur abituati a vederlo guidare come nessuno.
Gran Premi in solitaria, rivali storici allo sbando tra chi andava avanti con psicologici e chi tramite sali minerali, quasi condannando Barrichello a vincere per dare un senso ai weekend.
Una convinzione dettata da una squadra che come Schumacher impressionava, una differenza stimata soprattutto nelle persone, confortante a dirlo in uno sport che già in quegli anni ostentava denari e affari.
La speranza di avversari nuovi e forti avvenne con Alonso ed un mondiale (2006) rimontato ma amaramente cestinato a Suzuka, causa rottura del motore come non succedeva da tempo immemore.
Uno scherzo del destino ripreso con gli interessi nell’anno 2007, con Kimi Raikkonen sullo stesso sedile di Schumacher, nel frattempo ritiratosi, abile ad approfittare del pasticcio McLaren tra il rookie Hamilton ed Alonso, poi quello 2008 accarezzato per qualche metro da Massa nella sua Interlagos.
Da lì poche gioie, tante delusioni.
Sono passati piloti come Alonso e Vettel, abbiamo scoperto Leclerc ma soprattutto, sono trascorsi (quasi) venti anni dall’ultima magia.
Da oltre dieci anni raccontiamo su SportOne fatti e avvenimenti, spesso con l’amarezza di vedere vincere sempre gli altri, a volte con la speranza di una vittoria che possa dare continuità ad una successiva, un’altra e un’altra ancora.
Non ci abbattiamo, consapevoli del positivo lavoro in vista del prossimo ciclo regolamentare, anno 2026, dove l’idea è quella di essere un dream team, chiudendo gli occhi e pensando a Pollon, Dea della Speranza, in quel cartone animato che andava in onda nello stesso periodo del dominio, il nostro.
Perché a quella ci aggrappiamo, e per quella bisogna avere fiducia.